"Io, accoltellato da un marocchino per un gatto"

"Io, accoltellato da un marocchino per un gatto"

«Quando ha estratto la lama ho sentito un dolore lancinante»: è il racconto di Mario Iadonato, brigadiere dei carabinieri ferito lo scorso 29 giugno da un marocchino, che ora si trova in carcere, a Montegranaro, nel Fermano. Un'aggressione premeditata, dopo che i militari dell'Arma lo avevano trovato ubriaco in un bar, dove stava infastidendo i clienti e gli avevano intimato di andare a casa.

Brigadiere, come è successo?

«Quando siamo intervenuti nel bar l'uomo stava importunando la barista e altre persone. Con sé aveva un gatto. Abbiamo provato a calmarlo, ma aveva bevuto e gridava. Siamo riusciti a non far degenerare la cosa, ma lui ci si scagliava contro. A quel punto lo abbiamo preso e lo abbiamo portato in caserma».

Poi che è accaduto?

«Dopo le procedure di rito gli ho detto che lo avremmo accompagnato a casa, perché conoscendo il soggetto sapevo che avrebbe fatto di nuovo confusione, anche perché quella sera c'era una festa al paese con 15mila persone. Quindi lo abbiamo portato a casa sua».

Subito dopo ve ne siete andati?

«No, ci ha chiesto di riportargli il gatto che era rimasto nel bar. Così siamo tornati indietro, lo abbiamo messo in una scatola e siamo tornati da lui. In caserma lo avevamo perquisito e non aveva addosso armi. Con una scusa mi ha chiesto di portargli l'animale davanti al portone di casa. Ma quando mi sono voltato per salire in auto mi ha accoltellato. Probabilmente ha preso la lama a casa».

Ha percepito subito il fendente?

«No, ho sentito il collega che mi gridava, ma non ho avvertito la lama entrare. È quando è uscita che ho provato un dolore lancinante, perché me l'ha girata dentro. Pur stando male ho cercato di impugnare la pistola per sparare, ma lì vicino c'era una sala scommesse con tanta gente e lui si è confuso tra la folla, allora ho lasciato perdere».

Chi l'ha soccorsa?

«Il collega ha chiamato l'ambulanza, dopo che io mi ero appoggiato all'auto perché mi sentivo mancare. Ora sono in ospedale, la prognosi è sciolta, ma ho molto dolore, un polmone perforato e faccio molta fatica a respirare e parlare».

É la prima volta che l'aggrediscono?

«No, quando ero in servizio a Civitavecchia ho avuto a che fare con mafiosi, con la banda del Brenta, sono finito in mezzo a una sparatoria, ma quella era gente che se la arrestavi quasi ti diceva bravo. Questi, invece, sono delinquenti, ti prendono alle spalle. Non lavorano, spacciano o si drogano. Il marocchino che mi ha accoltellato non ha lavorato un giorno in vita sua, lo conosco bene. Lascia la moglie a sgobbare e lui fuma hashish».

Come ci si sente a essere colpiti alle spalle?

«Ci si sente traditi, perché colpire qualcuno così è da vigliacchi. I miei figli e io da anni facciamo beneficenza.

Ho fatto missioni in Kosovo e Bosnia, portavo le scarpe prodotte nel Fermano a chi stava peggio e ancora oggi per noi la solidarietà è fondamentale. Aiutiamo anche gente come chi mi ha accoltellato. Non mi aspetto riconoscenza, ma finire così...».

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