Jobs Act, Renzi tratta ma Cgil e sinistra Pd chiudono

Sul lavoro il premier prova a trattare ma Cgil e sinistra Pd chiudono. Domani la fiducia del governo a Palazzo Madama

Jobs Act, Renzi tratta ma Cgil e sinistra Pd chiudono

I sindacati come la minoranza piddì. Come ha chiesto la fiducia sul Jobs Act, che domani sarà votato a Palazzo Madama, per arginare la sinistra del Nazareno, così il premier Matteo Renzi ha deciso di appellarsi alle coscienze dei leader di Cgil, Cisl e Uil per scongiurare lo sciopero generale: "Il Paese ha bisogno di un clima di fiducia". Peccato che per far digerire la riforma del lavoro anche a Susanna Camusso & Co. finisce per promettere l'impossibile: 1,5 miliardi di euro di nuovi ammortizzatori, un miliardo per la scuola e 2 miliardi per la diminuzione delle tasse sul lavoro. Il tutto da inserire nella legge di Stabilità. E, ciliegina sulla torta, il bonus fiscale ai lavoratori dipendenti, i "mitici" 80 euro, da rendere strutturale a partire dal 2015.

"Non voglio dividere il sindacato, il sindacato fa il sindacato - tuona Renzi - in questa crisi però vi sono responsabilità anche di chi rappresenta il mondo del lavoro". Poi passa subito alle concessione. E, nel giorno in cui sia Berlino sia il Fmi danno il proprio sostegno al Jobs Act, la rivoluzione del mercato del lavoro già sembra allontanarsi. "Ci sono sorprendenti punti di intesa" si vanta il premier seduto in Sala Verde, a Palazzo Chigi, con Susanna Camusso, Luigi Angeletti, Geremia Mancini e Annamaria Furlan. Con un’introduzione durata otto minuti traccia il perimetro del confronto fissando tre punti oltre al tema dell'articolo 18: salario minimo, rappresentanza sindacale e contrattazione decentrata. Nell'emendamento a Jobs act che sarà presentato dal governo stesso, oltre a far confluire norme sulla rappresentanza sindacale e sull'ampliamento della contrattazione decentrata, così come chiesto dalla Triplice, confluiranno infatti i suggerimenti della minoranza piddì. "Sono emendamenti condivisibili che mi sono stati suggeriti dal mio partito - assicura il premier - in particolare dalla parte che non sta con me". A partire dalle modifiche allo Statuto dei lavoratori. La tutela del reintegro, previsto dall'articolo 18 per i licenziamenti ingiustificati, resterà sia per quelli discriminatori sia per quelli disciplinari "previa specifica delle fattispecie". Per chiarire le "fattispecie" del reintegro bisognerà attendere il decreto legislativo.

Nonostante le concessioni messe sul piatto da Renzi in un'ora e tre quarti di tavolo, la Cgil non è disposta a cedere. Vuole. Pretende di più. Anche a costo di rompere con Cisl e Uil. "L'unica vera novità di questa mattina è l’indicazione che potranno esserci altri incontri - commenta la Camusso - sui contenuti ci sono cose note che non determinano un cambiamento della posizione della Cgil". Il prossimo tavolo è già stato fissato il 27 ottobre. "Dopo che i i tre milioni di lavoratori verranno a manifestare a Roma...", scherza il premier. In "totale dissenso" sulle modifiche all'articolo 18, nonostante le aperture del governo, la Camusso conferma, infatti, la mobilitazione del 25 ottobre. Di tutt'altro avviso la Furlan e Angeletti che riconoscono al governo "aperture" che potrebbero porre le basi per un confronto duraturo. "Miglioriamo se c’è da migliorare - replica Renzi - ma il Paese deve cambiare e non ci faremo bloccare da veti o opinioni negative".

I veti che preoccupano maggiormente Palazzo Chigi non arrivano dalla Cgil, ma dalla sinistra democrat. Alcuni senatori non parteciperanno al voto di fiducia che si terrà domani. "Il nostro - assicura Pippo Civati - non è un complotto". Un agguato, però, sì.

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