Johnson: "Meglio morto in un fosso del rinvio"

La replica del primo ministro dopo il voto del Parlamento che allontana il no deal

Johnson: "Meglio morto in un fosso del rinvio"

Londra «Preferirei essere morto in un fosso che chiedere un rinvio della Brexit», parola di Boris Johnson. Il premier parlando ieri da Wakefield, nello Yorkshire, conferma che il governo inglese ha inserito il pilota automatico e viaggia diritto verso un solo obiettivo, quello di elezioni anticipate.

Dapprima nella mattinata di ieri il primo ministro ha incontrato il vice presidente americano Mike Pence con cui ha parlato anche di accordi commerciali tra i due Paesi ribadendo che dalle trattative con gli Stati Uniti sarà escluso il servizio sanitario nazionale. L'Nhs rappresenta uno dei grandi orgogli inglesi e nella retorica laburista viene spesso indicato come agnello sacrificale sull'altare dell'accordo commerciale con gli Usa. Poi nel pomeriggio Johnson si è recato nello Yorkshire, accompagnato dalla notizia che il fratello più giovane, Jo, si era dimesso dal governo. Tensioni irrisolvibili tra l'interesse del Paese e la lealtà alla famiglia, la motivazione.

Che non sarebbe stato un giorno facile dopo la batosta parlamentare di mercoledì, quando i Comuni hanno approvato la proposta di legge per escludere un no deal, Johnson l'ha capito sin dal primo mattino. Prima dell'alba, infatti, anche gli eventi nella Camera dei Lord si sono risolti a favore dell'opposizione. Un accordo tra le parti, attorno alle 2 di notte, ha posto fine ai tentativi di ostruzione da parte dei conservatori: la bozza di legge sarà quindi licenziata oggi dalla Camera Alta e ripasserà ai Comuni per completare il proprio iter lunedì. Tutto perduto per l'ex sindaco di Londra? Non ancora, e la baldanza del suo intervento di ieri è lì a dimostrarlo.

Sin dalla mattina Jacob Rees-Mogg, il leader dei conservatori ai Comuni, ha annunciato che lunedì sarà ripresentata ai Comuni la richiesta di elezioni anticipate. Di fronte al Paese i conservatori stanno dicendo ai partiti di opposizione: ecco, avete la legge che vi tutela dal rischio di un no deal, adesso torniamo a votare, rimettiamoci al volere degli elettori per definire chi ha la maggioranza per guidare il Regno Unito fuori dai pantano. La grancassa del Corbyn codardo e del Labour che ha sempre voluto le elezioni, ma ora un po' meno, è già partita tra i giornali vicini al governo.

C'è però un duplice problema nella strategia dei conservatori. Innanzitutto il voto di lunedì per elezioni anticipate è lo stesso su cui si sono espressi negativamente i Comuni mercoledì sera. Lo speaker della Camera Bercow ha già in passato impedito la discussione di provvedimenti identici, ma la richiesta di Rees-Mogg si basa sul fatto che ora le circostanze sarebbero mutate. Lunedì l'opposizione avrà infatti ciò che ha chiesto, una legge per impedire il no deal, e quindi la richiesta di elezioni anticipate può essere ridiscussa.

Il secondo problema riguarda la risposta dell'opposizione, da giorni spaccata sulla strategia da seguire. Una parte vuole andare a votare il 15 di ottobre, come chiesto da Johnson, per minimizzare le settimane di campagna elettorale, specialmente quelle al di fuori delle leggi che regolano le spese elettorali e la pubblicità. La squadra di Johnson è una macchina elettorale collaudata, con molte persone che hanno condotto e vinto la sfida impossibile del 2016, quella di far vincere il leave. Un'altra anima del Labour, quella che punta invece a elezioni a novembre, vuole prima vedere il primo ministro andare a Bruxelles e chiedere il rinvio. Sarebbero le forche caudine di Johnson, che ha costruito i suoi successi elettorali sulla promessa che, per dirla con parole sue, non si sarebbe mai arreso all'Ue come invece vuole fare il leader del Labour. Sarebbe la fine della sua carriera politica, indifeso verso la fronda di Farage e del Brexit Party.

Per evitare questo finale, Johnson potrebbe allora essere disposto a fare un passo indietro: prima dell'elemosina europea incontrare la regina per rassegnare le dimissioni e consigliarle di nominare Corbyn a capo del governo. Sarebbe una tentazione troppo grande per il leader laburista? Il gioco è evitare di rimanere con il cerino del rinvio in mano. Mancano 55 giorni.

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