Giuseppe Conte è arrivato a Palazzo Berlaymon dopo Teresa May. Alla premier britannica il presidente del Consiglio europeo Donald Tusk ha dedicato un verso dei Queen Friends will be Friends. Al capo del governo italiano è toccato il saluto del padrone di casa, il presidente della Commissione Jean Claude Juncker. E lui, a favore delle telecamere, gli ha dedicato una battuta: «Noi non litighiamo, we are friends». Un amico in uscita, la Gran Bretagna, e un altro messo non benissimo in Europa. Per avere forzato gli accordi con la legge di Bilancio, si è ritrovato isolato. Anche rispetto a chi in passato ha violato gli stessi patti.
Amici, quindi. O quasi. Perché se Juncker a May ha potuto confermare il sostegno certo dell'Ue all'accordo sulla Brexit, al premier italiano il capo dell'esecutivo europeo non ha potuto che confermare lo stato dell'arte. In sintesi: l'Europa va avanti con la procedura di infrazione. La richiesta di allungare i tempi, vedeva lo stesso Juncker molto d'accordo. Disponibile anche che il presidente dell'Eurogruppo Mario Centeno. Peccato che la scelta non dipenda da lui. La pressione degli stati membri dell'area euro va in direzione opposta. La grande speranza del governo gialloverde, cioè il cambio al vertice della Commissione europea dopo le elezioni, è al momento uno svantaggio, visto che la volontà delle cancellerie dell'area euro è di non fare nessuno sconto all'Italia e l'unico alleato è, di fatto, Juncker.
L'interlocutore di Bruxelles al momento rimane il ministro dell'Economia Giovanni Tria, che ieri era alla cena insieme a Conte. Ma entrambi si sono presentati all'appuntamento con un mandato dimezzato. I leader della maggioranza, Luigi di Maio e Matteo Salvini prima del viaggio avevano già messo in chiaro che le riforme chiave della legge di Bilancio non si mettono in discussione. Posizione di partenza di una trattativa che prevede sicuramente modifiche alla legge di Bilancio. Ma non in questo momento e non al tavolo di ieri.
Lo stesso Conte non ha potuto che precisare che «nessuno ha mai ragionato di rinunciare alle riforme qualificanti. Le faremo».
Subito dopo l'atterraggio a Bruxelles, una dichiarazione di Salvini ha ridotto ai minimi termini la portata della cena. «Chiedo rispetto per quei 60 milioni di italiani che, con 5 miliardi regalati ogni anno all'Europa, non si aspettano gli insulti, ma vogliono avere la possibilità di studiare, lavorare, andare in pensione. Al governo mi hanno mandato loro e a loro rispondo, e non arretro». Non casuali nemmeno le dichiarazioni di Di Maio che ha difeso la riforma delle pensioni, misura in quota Lega, dicendo che quota 100, è solo l'inizio: «L'obiettivo è arrivare a quota 41», nel senso del requisito di contributi, senza quello dell'età.
Una sfida che in realtà rappresenta solo l'inizio della trattativa tra Roma e Bruxelles.
Alla cena c'erano anche i commissari Pierre Moscovici e Valdis Dombrovskis. Il secondo, vicepresidente della Commissione, rappresenta la linea dura che al momento è quella prevalente.
Tria e Conte che si sono presentati al tavolo chiedendo una interpretazione dei passaggi che gli faccia guadagnare un po' di tempo. Di farla scattare non a febbraio, prima delle elezioni, ma dopo maggio, dopo le elezioni europee. Meglio se a fine anno. La speranza è che a Bruxelles ci siano nuovi equilibri politici favorevoli ai partiti populisti e sovranisti.
Eventualità che non si verificherà perché i commissari sono scelti dai paesi membri e tra i governi in carica, anche tra un anno, prevale il
Partito popolare europeo. Senza contare che l'unico governo popolare-populista, quello austriaco di Sebastian Kurz, chiede con forza la linea dura contro l'Italia. Non sarà la cena di ieri a fare cambiare il corso degli eventi.
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