Il kamikaze Marino si rimangia l'addio: deve cacciarmi il Pd

L'ex chirurgo prova a resistere ma perde quasi tutti gli assessori e fa una nuova gaffe con i pm: «Caso Onlus archiviato». La procura: non è vero

Il kamikaze Marino si rimangia l'addio: deve cacciarmi il Pd

Roma - Rombi, fulmini, rumori di eliche. È tornato il Marziano. «Il sindaco di Roma Ignazio Marino ha firmato la lettera con la quale ritira le dimissioni presentate lo scorso 12 ottobre». La nota ufficiale del Campidoglio arriva alle 16.30, poco prima del tramonto, a tre giorni dalla scadenza del suo mandato e dalla nomina di un commissario e dopo oltre due settimane di tira e molla, polemiche, ripensamenti, strappi, mediazioni fallite. Matteo Orfini, riunito al Nazareno con i consiglieri comunali del partito, accusa il colpo: «Ora dovete dimettervi tutti, non possiamo mandarlo in aula». I democratici sono 19 e per staccare la spina ne servono almeno 25. Ma il Pd è certo di farcela.

Il Marziano è tornato e ha tutta l'intenzione di restare, o almeno di provarci. «Ritiro le dimissioni. Sono pronto a confrontarmi con la maggioranza - spiega lasciando il suo ufficio -. Illustrerò quanto fatto, le cose positive, la visione per il futuro ma quello è il luogo della democrazia. Questa sera parlerò con la presidente Baglio e, oltre a consegnarle la lettera, illustrerò la mia intenzione di avere una discussione aperta, franca e trasparente nell'aula Giulio Cesare». Tradotto: voglio vedere quelli del Pd come faranno a votare la sfiducia assieme al partito di Alemanno.

Ignazio bis, il sindaco dunque si reinsedia. Ma non è stato un ripensamento, la decisione era nell'aria almeno da domenica, da quando i suoi sostenitori avevano invaso la piazza michelangiolesca. Mercoledì sera, dopo il fallimento del vertice con Orfini, quando aveva rifiuto un'uscita morbida con l'onore della armi, la retromarcia era diventata poi quasi una certezza. «Non ho niente da chiedere, né da negoziare».

E così rieccolo. Marino non ha molte speranze di durare, la sua giunta già sfibrata nel giro di poche ore perde altri pezzi grossi, a cominciare dal vicesindaco Marco Causi e dall'assessore ai Trasporti Stefano Esposito. Maurizio Pucci, Lavori pubblici, Luigina di Liegro, Turismo, e Giovanna Marinelli, Cultura, si dimettono in serata. E Alfonso Sabella, Legalità, annuncia che «da lunedì tornerò a fare il magistrato». Imminente pure l'uscita del titolare della Scuola Marco Rossi Doria. Resistono per ora i fedelissimi del Marziano, e cioè Estella Marino, Alessandra Cattoi e Giovanni Caudo.

Ma come l'ultimo giapponese, Ignazio resiste e fa approvare da quel che resta della giunta la delibera sulla pedonalizzazione integrale dei Fori Imperiali per un anno nei week end e nei festivi. L'obiettivo minimo è di presentarsi il 5 novembre nell'aula dove si aprirà il processo Mafia Capitale con la fascia tricolore addosso per rappresentare il Campidoglio come parte civile. Quello a medio termine, sembra, dare il più fastidio possibile a Matteo Renzi, che l'ha da tempo abbandonato. E c'è chi pensa che stia costruendo una base di consenso per candidarsi alle prossime comunali con una sua lista, o addirittura al congresso del Pd, partito col quale in serata lamenta di aver desiderato nell'assemblea capitolina «un dialogo più aperto e costruttivo».

«Roma ha gli anticorpi giusti - dice rispondendo a Cantone - però vanno valorizzati». Intanto però, proprio sul fronte della legalità, deve incassare la smentita della procura di Roma, che secondo il suo avvocato aveva proposto l'archiviazione dell'inchiesta che chiamava in causa Marino in presunte irregolarità nei pagamenti a collaboratori fatti dalla Onlus Imagine . «Non abbiamo chiesto l'archiviazione», rettifica il pm. Il sindaco non si abbatte e in serata si presenta nella ex caserma di via Guido Reni, davanti al Maxxi. Fotografi, applausi. Marino non vorrebbe parlare.

«Sono felice di essere qui perché stasera viene presentato il lavoro di trasformazione della nostra città in questi due anni, un lavoro che la sta cambiando grazie all'impegno straordinario della giunta». Il resto se lo tiene per l'aula di Giulio Cesare.

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