L e dichiarazioni rilasciate da Emmanuel Macron nell'intervista all'Economist di qualche settimana fa saranno anche «brutte e ingiuriose» come sostiene Donald Trump, ma il presidente francese, al pari del bimbo pronto a gridare al re nudo, ha detto soltanto la verità. Una verità scomoda, ma evidente anche per un presidente americano pronto, nel corso di un precedente summit, a liquidare come «obsoleta» l'Alleanza Atlantica. Per capire i problemi evidenziati più recentemente da Macron bisogna partire proprio da lì. A settant'anni dalla propria fondazione e a trenta dalla Caduta del Muro di Berlino, l'Alleanza nata per proteggere l'Europa dal defunto Patto di Varsavia stenta a trovar una nuova ragion d'essere. E questa sua inadeguatezza è particolarmente percepibile in un Vecchio Continente sempre più incerto e diviso rispetto alla determinazione con cui l'America, o almeno il Pentagono e il cosiddetto apparato militar-industriale americano, continuano a puntare su strategie di difesa essenzialmente antirusse. Macron, pronto a ricevere a Parigi lunedì prossimo il presidente russo Vladimir Putin e l'omologo di Kiev Volodymyr Zelenskiy nel tentativo di trovare una via d'uscita alla crisi ucraina, è il primo a voler ribaltare l'atteggiamento nei confronti di Mosca. Il primo a voler promuovere la Russia dal ruolo di nemica a quello di controparte politica dell'Unione Europea. Ma la posizione dell'Eliseo, ancor prima di dilaniare la Nato, spacca l'Europa. Il riavvicinamento dell'Eliseo al Cremlino rende sempre più difficili i rapporti con la Germania di Angela Merkel. La Cancelliera, pur di mantenere intatta la sua influenza politica ed economica su un Est Europa ancora assai allergico all'influenza di Mosca, difende le posizioni americane e la presenza, a mo' di deterrente, di 4mila militari Nato in Polonia e nelle repubbliche Baltiche. La Germania, pronta a contrapporsi alla Francia e a sostenere un atteggiamento di cautela e contrapposizione nei confronti del Cremlino, resta però nel mirino di una Casa Bianca decisa ad imporre ai partner europei il rispetto di quella soglia minima di spese militari pari al 2 per cento del Pil fissato dai trattati dell'Alleanza. Oggi, secondo i rilevamenti della stessa Alleanza Atlantica, solo 3 Paesi europei hanno superato l'obiettivo (Grecia, Estonia e Gran Bretagna), 4 lavorano per raggiungerlo (Lettonia, Polonia, Lituania e Romania), mentre ben 21 (tra cui una Germania all'1,36%, un'Italia all'1,22%) restano assai lontani.
Ma le beghe sulle spese sono ben poca cosa rispetto all'indifferenza, sintomo di «morte cerebrale» denunciata dal presidente francese, con cui la Nato guarda a una Turchia trasformata da Erdogan in una sorta di «quinta colonna» dei nemici dell'Alleanza. Una «quinta colonna» che, dopo aver flirtato con lo Stato Islamico, non esita a riaddestrare e integrare nel proprio esercito i militanti jihadisti per mandarli alla conquista dei territori curdi della Turchia. Il tutto senza informare la Nato, ma limitandosi a discutere la questione con una Casa Bianca ugualmente restia a confrontarsi sull'argomento con gli altri 27 alleati. Un atteggiamento accompagnato da posizioni politico-strategiche assai più vicine al Cremlino sui quadranti strategici di Siria e Medioriente che non ai vertici dell'Alleanza di Bruxelles. Per non parlare dei vari atti di aperta ribellione a Washington, culminati con l'acquisto dei sistemi di contraerea russi S-400 anziché di quelli messi a disposizione dagli arsenali dell'Alleanza.
Volendo restare sul tema dell'obsolescenza politico-strategica dell'Alleanza, difficile però non vedere l'assoluta incapacità di definire politiche e strategia di contrapposizione a una Cina pronta non solo ad imprigionarci commercialmente ed economicamente in quella tela di ragno chiamata «Nuova Via della Seta», ma anche a minacciarci militarmente grazie ad arsenali sempre più potenti sviluppati nell'ottica di un'egemonia globale. Una miopia su cui gli incontri di Londra difficilmente metteranno una pezza anche se il segretario generale della Nato Jeans Stoltenberg ha promesso recentemente d'affrontare «le conseguenze dell'ascesa della Cina».
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