Afghanistan in fiamme

Lamorgese: "Disponibilità ad accogliere". Ma ora l'Europa chiude le porte ai profughi

Johansson: "Aiuti laggiù". Stop da Berlino, Parigi, Vienna, Praga e Copenaghen

Lamorgese: "Disponibilità ad accogliere". Ma ora l'Europa chiude le porte ai profughi

La crisi afghana continua a tenere banco sullo scenario internazionale e anche su quello interno. Ieri il ministro dell'Interno Luciana Lamorgese era a Bruxelles per prendere parte al consiglio straordinario degli Affari interni, riunito per discutere le questioni umanitarie e i rischi per la sicurezza connessi alla riconquista del Paese asiatico da parte dei Talebani. Al termine del vertice, il titolare del Viminale ha raccontato della «piena disponibilità» a «un approccio ordinato e completo degli arrivi degli afghani», da parte dei ministri degli esteri della Ue, che si sarebbero anche detto pronti a offrire «accoglienza alle persone che fuggono da situazioni difficili».

Eppure proprio sui profughi le dichiarazioni a caldo arrivare dalla capitale belga disegnano una strategia diversa dei partner europei su un tema tanto rovente quanto divisivo. Lo stesso commissario europeo agli Affari interni, Ylva Johansson, prima ancora dell'inizio del consiglio aveva già rimarcato l'importanza di «essere in una posizione tale da evitare una crisi umanitaria e migratoria», oltre che quella di «evitare minacce alla sicurezza» provenienti dall'Afghanistan. Per la Johansson il fattore chiave è il tempismo: per non ritrovarsi «grandi flussi di persone alle nostre frontiere esterne», serve «agire ora per sostenere le persone in Afghanistan e nei Paesi vicini». Più che braccia aperte, insomma, si prospetta un già sentito «aiutiamoli a casa loro», esteso ai soli Paesi limitrofi, ricalcato dal vicepresidente della Commissione Margaritis Schinas: «Dobbiamo lavorare coi Paesi vicini per limitare il margine dei trafficanti di produrre grossi movimenti di profughi alla nostra frontiera esterna». La stessa linea, che non somiglia a quella raccontata dalla Lamorgese, riecheggia anche nelle parole di Karl Nehammer, omologo austriaco della titolare del Viminale, il cui messaggio «molto chiaro» agli afghani, condiviso da Repubblica Ceca e Danimarca, è: «State lì, aiuteremo a sostenere le persone lì dove sono». Anche il ministro dell'Interno francese Gérald Darmanin accenna al «modello siriano-turco» quanto alla gestione dei profughi, mentre il suo collega tedesco Horst Seehofer si è già detto contrario a un sistema di quote tra i Paesi Ue per l'accoglienza dei rifugiati.

Sul fronte interno, intanto, ieri il Copasir ha audito il ministro della Difesa Lorenzo Guerini. Sul tavolo, oltre al ritiro delle nostre truppe dall'Afghanistan, anche le conseguenze sulla sicurezza del ritorno al timone dei talebani, tra i timori di una nuova escalation del terrorismo internazionale e la necessità di continuare con l'esfiltrazione dall'Afghanistan di chi ha collaborato con il nostro contingente e di quanti, dopo il rovesciamento del governo afghano, sono costretti a lasciare il Paese.

Tra questi, anche i 119 tra studenti e studentesse della Sapienza con le loro famiglie.

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