L'appello muto dell'Aula con 166 voti a Mattarella. Manca ancora il nome forte

Il segnale di chi vuole mantenere lo status quo per evitare le urne è chiaro. Oggi si decide sulla doppia votazione

L'appello muto dell'Aula con 166 voti a Mattarella. Manca ancora il nome forte

Roma. Siamo all'Abcd. Amato, Belloni, Casini, Draghi, questo il catalogo, questa è la lista «informale» che i giallorossi hanno consegnato alla controparte. E mentre Matteo Salvini pensa di inserire Sabino Cassese nella sua rosa, ecco che nella giornata della rimonta di SuperMario, attenzione, contrordine, fermi tutti, alla Camera esplode il fattore M.

Al quarto scrutinio, il primo con il quorum a 505, cioè la maggioranza assoluta, sono infatti ben 166 i voti dei grandi elettori per il capo dello Stato uscente, i santini a forma di scheda deposti da parlamentari che non vogliono le elezioni anticipate, i messaggi nemmeno cifrati: se non passa il premier, si va su Sergio Mattarella. La Lega replica ventilando di buttare in pista, oltre a Cassese, pure l'ambasciatore Giampiero Massolo e soprattutto l'ex ministro degli Esteri Franco Frattini, presidente del Consiglio di Stato, che già aveva incontrato il no di Pd e Italia viva perché troppo filo russo. L'idea sarebbe di presentarlo e di sperare nell'appoggio dei grillini tendenza Conte. Il Pd si infuria: «Nomi non condivisi, si torna al punto di partenza», dicono le capogruppo Simona Malpezzi e Deborah Serracchiani. «Così salta il governo», avverte la viceministro all'Economia Laura Castelli, M5s vicina a Di Maio. Forza Italia e Fratelli d'Italia freddi su Frattini, ma la trattativa si aggroviglia. Rottura o solo tatticismo?

Quarta fumata nera, come scontato. Gli astenuti, Forza Italia, Lega e FdI, sono 441, lontani da quota 505. Le bianche sempre di meno, si fermano a 261. Ma fanno parecchio rumore le 166 preferenze per Mattarella, che raccolgono insieme un disagio dei peones e un preciso disegno politico. Silenzio assoluto dal Colle: «Durante le elezioni del suo successore il presidente della Repubblica non ha nulla da dire, niente da commentare e nessuno da vedere».

Poi 56 voti per Nino Di Matteo, otto per Luigi Manconi, sei per Marta Cartabia, quattro per Giuliano Amato, due per Elisabetta Belloni. E cinque per Draghi. Molto attivo il premier: una telefonata amichevole con Silvio Berlusconi, un incontro «cordiale» a Palazzo Chigi con Antonio Tajani, un colloquio più disteso pure con Matteo Salvini: ma il centrodestra lo vuole ancora al governo.

Un'altra giornata convulsa e contraddittoria, fatta di incontri, vertici e abboccamenti vari, notizie e ballon d'essai, movimentata dai tanti candidati proposti, bruciati, riciclati e ribolliti. Pier Ferdinando Casini sembrava ben piazzato, poi però già dall'altra notte è stato silurato da Lega e Fratelli d'Italia. La Belloni invece, che non dispiace a Giorgia Meloni, ha subito lo stop del segretario del Carroccio e di Matteo Renzi. «Basta con i nomi buttati lì a caso, senza discussione politica».

Dopo il riavvicinamento delle ultime ore, adesso si torna un po' al tutti contro tutti, anche se è ormai evidente che non c'è più spazio per prove di forza di parte. Ma la proposta Frattini, oltre a spaccare in due il Movimento cinque stelle tra Conte e Di Maio, rischia di mettere in crisi pure l'alleanza di governo. Salvini comunque si dichiara ottimista. «Va tutto bene, ho passato un pomeriggio di incontri su persone non politiche da proporre. Offriremo profili di altissimo livello, il mio obbiettivo è tenere uniti sia il centrodestra che la maggioranza. Confido che domani sia la giornata buona».

Più passa il tempo, più il piano si inclina verso Draghi e Mattarella.

Sarà forse per questo che Pd, Lega e Cinque stelle chiedono di cambiare marcia e di passare a due scrutini al giorno. Oggi alle 10.15, convocata da Roberto Fico, la conferenza dei capigruppo deciderà il da farsi: l'eventuale doppia chiamata scatterà da sabato. Alle 11 invece la quinta votazione: altro flop?

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