Il M5S vuole «ammanettare» (politicamente) Matteo Salvini sul tema della giustizia. La condanna sui rimborsi elettorali inflitta alla Lega Nord dal tribunale di Genova ridà forza all'ala di sinistra dei grillini. Che ora spinge sul governo Conte per imprigionare il leader del Carroccio sul ddl anticorruzione e imporre una virata giustizialista nell'agenda dell'esecutivo. L'obiettivo è mettere il ministro dell'Interno con le spalle al muro. Obbligare Salvini al passo indietro sulla legge spazzacorrotti. Incassando nel passaggio parlamentare il via libera, senza le correzioni annunciate dal titolare del Viminale, al testo licenziato dal Consiglio dei ministri. Salvini avverte la «pressione» grillina e prova a uscire dall'angolo. Il ministro dell'Interno, dagli studi di Porta a Porta, si difende: «I soldi non ci sono né in Italia né in Lussemburgo. è tutto certificato. Belsito dice di aver lasciato 40 milioni. Ma dove li ha lasciati. Non mi fido di chi è stato condannato a qualche anno. Non so quanto c'era in cassa nel 2013 quando sono diventato segretario, ma tutto, ogni spesa, è documentata. Non ci sono fondi all'estero. Siamo nati senza una lira ma andremo avanti lo stesso».
Il ministro, che rivendica la posizione assunta sul caso della nave Diciotti, anticipando il via libera nei prossimi giorni a due decreti su migranti e sicurezza, attacca i giudici di Genova: «I pm pensino a capire come è crollato il ponte». Dietro l'affondo del ministro c'è una ragione politica: la caccia ai 49 milioni indebolisce la Lega nello scontro con i Cinque stelle. Il leader leghista nell'intervista a Bruno Vespa annuncia un faccia a faccia con Silvio Berlusconi per definire l'accordo sulla presidenza Rai e la riconferma dello schema del centrodestra alle elezioni regionali, negando l'ipotesi di una rottura nel governo: «Non mi interessa far saltare i tavoli». Ma rimarca la distanza con i pentastellati su Tap e sanzioni dell'Ue all'Ungheria.
Al netto della difesa d'ufficio, Salvini intuisce il pericolo della trappola che Alessandro Di Battista e Roberto Fico, con il placet di Luigi di Maio, stanno confezionando: andare alla prova di forza sul tema della giustizia. Sapendo di incrociare nel braccio di ferro una Lega che si porta sul groppone il fardello di una condanna. Spuntarla sul pacchetto di misure per combattere i corrotti darebbe al M5S la prima vittoria politica contro il Carroccio. Motivo per cui l'ala ortodossa di Fico e Di Battista e quella governista del vicepremier Di Maio sono d'accordo nell'attaccare a testa bassa l'alleato. Nel collegamento dal Guatamela, Di Battista offre l'antipasto della battaglia che il Cinque stelle condurrà nelle prossime settimane contro la Lega. E non è un caso che l'ex deputato grillino parta dalla sentenza di Genova sui rimborsi per affondare il colpo sul ddl anticorruzione. Più che una legge contro i corrotti, il M5S punta ad ingabbiare Salvini, spingendolo in un vicolo cieco. A caldo, il leader del Carroccio ha annunciato modifiche in Parlamento al ddl anticorruzione: «Credo che il Parlamento apporterà qualche modifica» perché è «giustissimo stroncare corrotti e corruttori, assenteisti e truffatori, pero' in Italia non ci possono essere 60 milioni di indagati». Una legge che rischia di aprire una caccia alle streghe contro imprenditori e amministratori.
Oltre i rischi di incostituzionalità evidenziati dai giuristi. Motivazioni che hanno spinto la Lega, con l'assenza di Salvini al Cdm, a smarcarsi dal provvedimento. Ora, però, si profila lo scenario di una retromarcia che consegna un inaspettato successo politico.
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