Su un piatto della bilancia c'è l'esigenza, sacrosanta, di non lasciare impuniti crimini orrendi; sull'altro c'è la difesa di un istituto fondamentale della nostra civiltà giuridica, la prescrizione, invisa a tanti pubblici ministeri, e spesso presentata come un cavillo che permette ai mascalzoni di farla franca. Invece la prescrizione si regge su un principio cruciale, ed è che gli uomini mutano nel tempo e così pure il peso delle loro colpe. Condannare - come è successo in un altro caso a Milano - un uomo vent'anni dopo i fatti per un reato (si trattava di spaccio di droga) commesso quando era poco più che un ragazzo, devastando la vita perbene che si era costruito dopo quell'errore, è vendetta e non giustizia.
Eppure davanti alla notizia che arriva da Treviso, del padre orco che non farà un giorno di cella grazie alla prescrizione, è normale che non solo la vittima ma anche l'uomo comune abbia la percezione netta di una ingiustizia. E allora, come se ne esce? Quale punto di equilibrio, quale mediazione si può trovare tra due esigenze entrambe legittime?
La risposta non può essere allungare a dismisura i tempi delle prescrizioni, come già il governo ha fatto, e che i consueti forcaioli della pubblicistica giuridica vorrebbero dilatare ulteriormente. La risposta è semplice: fare bene i processi e soprattutto farli in fretta. La si pianti una buona volta di sventolare statistiche truccate sulla produttività della giustizia italiana, il cui reale grado di alacrità potrebbe essere meglio valutato cercando una luce accesa il venerdì pomeriggio in un qualunque tribunale italiano. Ma la si pianti soprattutto di considerare i processi tutti uguali, meritevoli tutti della medesima attenzione. I processi, i reati, non sono tutti uguali. I capi delle Procure della Repubblica, investiti di nuovi poteri dalla recente riforma, si prendano la responsabilità di indicare pubblicamente quali reati hanno sotto la loro giurisdizione una corsia preferenziale, per l'allarme che destano.
E non vengano a dire che l'azione penale è obbligatoria nei confronti di ogni crimine e di ogni reo, perché dietro questo alibi si è fatta passare ormai una discrezionalità irresponsabile. Se l'orco è libero, è questa la ragione.
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