Avrebbe potuto imboccare la solita scorciatoia «da prete», usando quella parola. Per esempio avrebbe potuto dire: quando ti senti così, pensa a quanto puoi fare per gli altri affinché gli altri non si sentano come te in quel momento etc etc. Quelli che lo seguono avrebbero commentato: è vero, il Papa ha ragione, anche se a volte è dura... E gli altri avrebbero commentato, appunto: sì va be', i soliti discorsi da prete... Ma ieri Francesco è stato, oltre che prete, anche uomo. Non gli capita raramente, bisogna ammetterlo.
A un certo punto, in quel triste notiziario che di questi tempi è l'udienza generale (di tutti i tempi, in verità, perché in quel contesto di solito si toccano i nodi che ingarbugliano il mondo), ha tirato fuori proprio la parola «tristezza». Dapprima, con una concessione al linguaggio figurato che fa sempre presa su un vasto uditorio, ha affermato che «la tristezza a volte lavora come un semaforo, è rosso, fermati». Ma poi ha aggiunto che «nel nostro tempo, essa è considerata per lo più negativamente, come un male da fuggire a tutti i costi, e invece può essere un indispensabile campanello di allarme per la vita, invitandoci a esplorare paesaggi più ricchi e fertili che la fugacità e l'evasione non consentono». È qualcosa di più della carezza paterna. Siamo lì al semaforo rosso, aspettando che diventi verde, e pensiamo ai fatti nostri, e se quei fatti ci procurano tristezza, che si fa? Si cade nella depressione? Ci s'incazza con tutti? Si cercano fugaci distrazioni? No, dice Bergoglio, è meglio «esplorare paesaggi più ricchi e fertili».
Bel colpo, fratello. E un bel giro alla frittata, che ci vuole sempre. È così, in effetti. Lasciamo stare la terribile frase «c'è gente che sta peggio», detta per arrecare consolazione ma che mette ulteriore rabbia. Pensare al peggio, peggiora la situazione, pensiamo invece a qualcosa di meglio, di più «ricco» e più «fertile». Di dedicarci ad altro e, così facendo, cancellare la tristezza.
Poi, è ovvio che un Papa dica che la tristezza subentra a volte in «una vita orientata al vizio», con il «rimorso» che ne consegue. È ovvio che tiri in ballo «il tentatore che vuole scoraggiarci». È anche comprensibile che confonda la tristezza con la «noia», perché lì vuole andare a parare: alla pochezza routinaria della solita minestra riscaldata nel conformismo.
Ma è importante che un Papa non butti la croce addosso alla tristezza, anzi che la risollevi, che la benedica, quasi. Perché la tristezza è la sorella brutta della gioia, ma non è cattiva. E ha il suo perché che tutti conosciamo benissimo.
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