"L'eritreo ferito dal ragazzo". A Roma è rissa pure sulla rissa

Un testimone accusa un tredicenne di aver scatenato la lite nel centro di accoglienza. Il padre: "È una bugia"

Pamela, la donna aggredita dagli immigrati al centro di accoglienza del Tiburtino III
Pamela, la donna aggredita dagli immigrati al centro di accoglienza del Tiburtino III

L'Unica cosa certa, al Tiburtino III, periferia est della capitale già esasperata da problemi di microcriminalità e degrado prima dell'arrivo dei migranti, è il clima pesante che si respira. Più che mai dopo i tafferugli tra i residenti e gli stranieri ospiti del presidio umanitario della Croce Rossa scoppiati martedì notte. Per il resto, mentre la magistratura indaga, le versioni contrastanti dei presenti non aiutano a capire come sono andate veramente le cose.

Dall'ospedale dove è ricoverato con 30 giorni di prognosi, l'eritreo accoltellato durante la rissa nega di aver lanciato sassi contro i bambini scatenando la reazione inferocita della mamma di uno di questi, Pamela, 45 anni, che ha poi denunciato di essere stata strattonata e sequestrata con la forza all'interno del centro di accoglienza di via del Frantoio. Con gli investigatori Yacob, lo «svitato» del quartiere, ricostruisce a fatica i fatti con l'aiuto di un interprete. È schivo ed introverso, parla poco. Si è detto che era stato lui ad iniziare, tirando delle pietre verso quei ragazzini che forse lo prendevano in giro per la sua abitudine di raccogliere le cicche in terra. Ma ora lui ripete: «Ho soltanto fatto il gesto». Probabilmente dopo un diverbio provocato da motivi ancora da chiarire. Il giovane ha fornito anche la sua versione sul momento del ferimento, ma i carabinieri stanno ancora cercando riscontri, interrogando i testimoni, per mettere insieme i vari pezzi del puzzle. Al vaglio dei militari c'è anche il racconto di uno degli occupanti del presidio della Croce Rossa che ieri, in un'intervista a Sky24, ha svelato che a colpire l'eritreo «con un pezzo di ferro appuntito» sarebbe stato il tredicenne nipote della donna che lo aveva rincorso durante una sorta di «spedizione punitiva». Secondo questo testimone oculare non ci sarebbe stato alcun sequestro, i migranti avrebbero soltanto chiuso le porte del centro in attesa dei carabinieri dopo che Yacob era stato colpito. Tutto sarebbe partito dalla richiesta della donna di una sigaretta. Il no dell'eritreo avrebbe scatenato l'inferno, Pamela lo avrebbe seguito e suo nipote gli avrebbe «ficcato un pezzo di ferro nella schiena». A questo punto i connazionali della vittima avrebbero chiuso le porte in attesa delle forze dell'ordine. Si tratta solo di una delle tante testimonianze al vaglio della Procura di Roma, che nel frattempo ha cambiato l'imputazione da tentato omicidio a lesioni.

A respingere con forza questa ipotesi è il padre del ragazzino, 36 anni, disoccupato, uscito da poco di prigione. Se ne sta seduto per terra davanti casa, vicino al luogo dell'assedio. Ha sette figli, da due donne diverse. Con la prima, dalla quale è separato, ha avuto i primi cinque, tra cui il tredicenne sospettato di aver colpito l'eritreo, gli altri due con l'attuale compagna, che è sorella della prima moglie e protagonista della vicenda, colei che ha denunciato di essere stata trattenuta con forza e trascinata dopo aver cercato di difendere il figlio piccolo e i nipoti. Vari lividi e segni sulle braccia dimostrano che qualcosa è successo. «Mio figlio non ha dato nessuna coltellata - racconta l'uomo - è un bambino buono e impaurito da ciò che è accaduto. È molto timido e non riesce a farsi valere nemmeno durante una lite con i fratelli, non riesco neanche ad immaginare che possa aver colpito quell'eritreo. Dopo il danno anche la beffa: è stato mio figlio ad essere stato sequestrato».

Un'idea sulla dinamica dei fatti questo papà ce l'ha: «Sono certo che a colpirlo sia stato uno di loro, uno degli immigrati. Hanno ingigantito tutto per passare dalla parte della ragione».

Il centro intanto continua ad essere presidiato, ma la Croce Rossa di Roma denuncia: «Vivere in stato d'assedio non si può, così chiudiamo».

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