Che all'interno della Lega viva e vegeti il partito dell'Italexit non ci sono dubbi. Il suo ideologo è Claudio Borghi, presidente della Commissione Bilancio della Camera. Che su questo punto si muove come un fiume carsico: lo vedi, poi sparisce e quando credi si sia esaurito torna in superficie.
Italexit, si badi bene, non è come Brexit. Quest'ultima è l'uscita dall'Unione Europea, ipotesi prevista dal Trattato, di un Paese che non ha aderito al sistema monetario europeo. Per l'Italia, che ha invece adottato la moneta unica, Italexit significa proprio uscire dall'euro, ipotesi che al contrario non è prevista dai trattati. L'uscita dalla Ue sarebbe infatti una conseguenza necessaria, anche perché sarebbe ben difficile a quel punto restare a Bruxelles. In ogni caso non ci può essere Italexit senza prima un'Eurexit. Quindi è di questo che si parla: di uscire dall'Euro.
C'è poco da girarci intorno: il «Report» della Commissione sull'Italia, nel prevedere la procedura d'infrazione, dice una cosa chiara: o l'attuale maggioranza di governo corregge il tiro sulla spesa in deficit, o la strada che porta fuori dall'euro è segnata. Troppo ampio è lo scostamento del nostro debito pubblico da quello previsto per la zona euro: siamo al 133% del Pil, in crescita, quando dovremmo tendere al 60%. Quindi anche se l'Eurexit non si sente mai nominare nei programmi del governo, di fatto stiamo andando a sbattere lì.
La prova ce l'ha data, per l'appunto, Borghi, che in varie occasioni ha accennato alla sua idea: la strategia della «carbonara». Per affrontare una tematica complicata e dirompente bisogna affrontarla scomponendola nei suoi ingredienti. Così, smontando il sistema euro pezzo per pezzo, senza che ogni singola operazione dia l'impressione del risultato complessivo, al momento opportuno ci si troverà nelle condizioni di dare in un sol colpo la spallata finale.
È stato lo stesso Borghi a spiegare il «sistema carbonara» in qualche intervista: «vale a dire piazzare delle cose che ci servono, però prese singolarmente, in modo che tutti possano essere d'accordo. Anche gli alleati più riottosi ai cambiamenti». Per esempio: «Se io avessi in mente di arrivare al ritorno delle sovranità monetarie, e riuscissi a convincere gli altri sulla questione tecnica debiti-crediti della P.A. con l'introduzione dei mini-Bot, allora sarei stato furbo». E guarda caso un primo provvedimento proprio sui minibot (che sono bond di piccolo taglio da scambiare come banconote e quindi una sorta di moneta parallela) è passato alla Camera la settimana scorsa. All'unanimità (compresi Pd e PiùEuropa).
In definitiva gli ingredienti della carbonara non sono tanti. Di sicuro c'è questo della moneta interna. A cui segue subito dopo, in ordine d'importanza, il sistema di conversione del debito pubblico, e in generale di tutti i debiti contratti con l'estero per i quali bisognerebbe inventarsi un meccanismo che, introdotto per altri fini, potrebbe poi essere utilizzato per pagare i creditori. Poi c'è una riforma della Banca d'Italia, il cui ruolo è oggi ancorato all'Eurosistema della Bce, di cui è parte integrante. E a ruota ci sono le banche italiane che, in caso di Eurexit, si troverebbero in grave difficoltà.
Se il governo dovesse proseguire nell'introdurre riforme in questi quattro ambiti, il segnale della costruzione di una rete di protezione contro gli effetti dell'Italexit
sarebbe molto forte. Con buona pace per chi, all'interno della Lega e del suo corpo elettorale - si pensi all'imprenditoria del Nord - vede l'abbandono dell'euro come la strada certa verso il tracollo economico del Paese.
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