L'Europa vede nero «Tra dieci giorni rischiamo il collasso»

Tra risse e rappresaglie Atene richiama l'ambasciatore in Austria e avverte: «Non diventeremo il Libano d'Europa»

Massimiliano ScafiRoma Dieci giorni e salta tutto. «Se entro il sette marzo non ci saranno risultati tangibili sull'emigrazione - avverte il commissario agli Affari interni della Ue, Dimitris Avramopoulos - c'è il rischio che l'intero sistema della gestione dei flussi collassi completamente». Il sette è in programma a Bruxelles un vertice dei capi di Stato e di governo dell'Unione allargato al premier turco Ahmet Davutoglu. Quella, per Avramopoulos, è l'ultima data utile, «il crash-test» per l'Europa. «Se per allora non ci sarà una significativa riduzione degli arrivi di profughi, la situazione ci sfuggirà di mano».In realtà la situazione sembra già sfuggita e tutto appare già saltato dopo il contro-summit dell'Austria e dei Paesi balcanici con la Grecia tenuta fuori, dopo che Atene per ritorsione ha richiamato l'ambasciatore a Vienna per consultazioni, dopo che l'Ungheria ha proposto un referendum per abolire le quote obbligatorie, dopo che la Macedonia ha deciso di limitare l'apertura della sua frontiera a cento passaggi al giorno. Si va in ordine sparso, senza una strategia comune. E nemmeno l'incontro tra i 28 ministri dell'Interno risulta determinante: della chiusure del Brennero non se ne parla neanche, l'unica intesa raggiunta è quella di rafforzare le frontiere esterne. I Paesi di confine, Italia e Grecia soprattutto, sono chiamati a «controlli sistematici di tutte le persone, incluse quelle che godono di libertà di movimento in base alle regole Ue». Cioè, anche i cittadini europei. E si stanno studiando restrizioni per lo spazio aereo e la creazione di una guardia costiera e di una polizia di frontiera comune. «Rafforzare le nostre frontiere esterne comuni è un mezzo importante per combattere il terrorismo e per proteggere la sicurezza dei cittadini europei», spiega Klaas Dijkhoff, ministro olandese per le Migrazioni.La tensione resta altissima. «Noi non accetteremo azioni unilaterali- dice il viceministro greco per l'Immigrazione Ioannis Mouzalas - pure noi possiamo farne. Non accetteremo di diventare il Libano d'Europa e di diventare un magazzino di anime, anche se questo comporta un aumento di fondi». Sugli equilibri pesa in caso Austria. «Non è questo il momento delle azioni non coordinate - spiega Avramopoulos- . A chi pensa che «sia necessario trovare soluzioni nazionali perché quelle europee non funzionano, dico che sono proprio quelle azioni nazionali che impediscono alla strategia europea di funzionare».Come se ne esce? Secondo il commissario europeo «occorre tornare al più presto alla piena operatività del sistema Schengen di libera circolazione e applicare tutte le misure prese: gli hotspot, la redistribuzione, senza mai dimenticare che quello che è in gioco sono le vite umane». E l'Italia? «La nostra posizione - sostiene Angelino Alfano - coincide esattamente con quella della Ue, ossia realizzare quanto si è detto. Chi ha da fare gli hotspot li faccia, chi ha da prendersi i migranti con il ricollocamento lo faccia. E, al tempo stesso, c'è il problema dei rimpatri, di cui si deve fare carico l'Europa».

Poi, insiste, bisogna cambiare le regole. «Crediamo che una delle prime cose da fare sarà riorganizzare il sistema di Dublino, che non funziona più perché pensato per un'Europa che non c'è più». Se ne parlerà forse il sette marzo.

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