La lezione dello stop al ponte sullo Stretto

La lezione dello stop al ponte sullo Stretto

Siamo tutti No Tav? Le indiscrezioni che giungono da Palazzo Chigi - con il premier Conte che starebbe cedendo al pressing dei grillini e sarebbe pronto a mettere una croce al collegamento ferroviario alta velocità tra Torino ed Lione stanno agitando il nostro caldo, caldissimo, weekend di fine luglio. Sarebbe opportuno, così insiste il ministro delle Infrastrutture Cinquestelle Danilo Toninelli, mettere una pietra sopra al progetto che costerebbe troppo (e anche in maniera squilibrata rispetto Parigi), o bisogna, invece, andare avanti, come afferma il sottosegretario leghista Armando Siri, perché i costi di uno stop sarebbero molto più alti degli eventuali benefici? La bilancia sembra pendere a favore dell'uomo del Carroccio: in effetti, le lacrime di coccodrillo farebbero piangere davvero tutti, No Tav compresi, perché, a 17 anni dal via libera italo-francese, sono già stati investiti troppi quattrini che non potranno più essere recuperati. Tanto vale, dunque, andare avanti. Anche per un motivo molto semplice: non vorrei che, a questo punto, si ripetesse la storia del ponte sullo stretto di Messina. Ve la ricordate? Se non ci fosse stato il disco rosso della sinistra - e, successivamente, di Mario Monti - il progetto lanciato nel 2009 dall'allora premier Berlusconi, subito dopo l'alluvione sullo Stretto, sarebbe già diventato realtà nel 2016 e sarebbero così stati creati centomila nuovi posti di lavoro a fronte di investimenti per 8 miliardi di euro.

A posteriori, dobbiamo oggi rilevare che rinunciare si è rivelato un grande errore. Non lo diciamo noi: ad ammetterlo, è stato persino Matteo Renzi che, sempre nel 2016, quando era ancora premier, cercò invano di rilanciarlo. Peccato che fosse stato proprio l'ex-sindaco di Firenze ad opporsi, a suo tempo, al piano di Silvio, considerandolo faraonico, tanto da dichiarare che sarebbe stato molto meglio destinare quei soldi alla ricostruzione delle scuole «per renderle più moderne e più sicure». Il problema è che i finanziamenti non vennero mai destinati al Ponte, ma neppure, a quel che sembra, alle scuole oggi sempre più fatiscenti.

Oltre a Renzi, la senatrice dem Anna Finocchiaro, siciliana doc, parlò di un lusso esagerato per le tasche degli italiani, definendo il progetto di Messina «un Ponte al caviale» (e pensare che proprio i marinai russi prestarono i primi soccorsi sullo Stretto dopo il terremoto di 110 anni fa). Mi chiedo: centomila posti di lavoro in più sono davvero un lusso?

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