Il pubblico ministero che deve scendere «dallo scranno»; la condanna di processi pachiderma, il nuovo ruolo che il pm dovrebbe assumere e che spesso non assume. Ed ancora: la bravura del pm che dovrà emergere, altrimenti «se è un brocco sono guai», e la separazione delle carriere già ben chiara. La lezione inedita e straordinariamente attuale di Giovanni Falcone, il magistrato ucciso con la moglie e tre agenti di scorta nella strage di Capaci il 23 maggio del 1992, riecheggia in una vecchia soffitta, tra gli scatoloni di una casa di campagna. Una audiocassetta mai scovata che riavvolge il nastro del tempo, riportandolo al lontano marzo 1989 quando il magistrato presiedette una lezione sulla riforma del nuovo codice di procedura penale (22 settembre 1988) - e che porta alla luce le parole del magistrato - allora giudice istruttore in una Palermo intrisa di sangue. Parole che, a pochi giorni dai referendum sulla giustizia, suonano attualissime e che pesano come un macigno. «Penso al dramma per molti miei colleghi che dovranno scendere dallo scranno del pubblico ministero seduto accanto alla corte - chiosava Falcone - e sedersi sui tavoli della difesa accanto ai difensori. Perché? Perché saranno parte così come sarà parte la difesa privata».
Falcone incontrava gli organi di polizia giudiziaria nel marzo 1989. E analizzava le sfide che il nuovo codice di procedura penale imponeva e metteva di fronte ad agenti e giudici. Erano gli anni dei maxi-processi e delle maxi-inchieste. Da lì a pochi mesi sarebbe avvenuto il fallito attentato all'Addaura. È un Falcone che parla a ruota libera, senza peli sulla lingua. Che inizia chiedendo dei fiammiferi perché, dice «li ho dimenticati in ufficio». Un Falcone appassionato e a tratti emozionato nel parlare del suo lavoro, un lavoro che amava tanto da dare la vita nella sua battaglia per la giustizia e la verità.
«Siamo di fronte a una svolta storica e alcuni direbbero a un salto nel buio. Io direi meglio ad una scommessa molto impegnativa - diceva il magistrato spiegando ai suoi uomini le sfide che si trovavano a vivere ogni giorno nella lotta alla criminalità organizzata -. Il codice è molto coerente e molto ben scritto, il problema sarà se noi saremo in grado di farlo funzionare». E proprio agli agenti e ai pm si rivolgeva.
«È un codice che funzionerà se saremo tutti quanti animati da un fortissimo impegno professionale, ma soprattutto se sapremo dotarci di quel salto di qualità senza il quale è impensabile che si possano ottenere risultati positivi». «Avremo un pm molto più agile, molto più dinamico, molto più parte, molto più poliziotto di quello che è quello attuale. Quindi un pm che si dovrà creare il suo diverso - totalmente diverso - ambito mentale rispetto a quello di adesso. Avremo di fronte anche una polizia giudiziaria che da un lato sarà svincolata anch'essa da vecchi preconcetti e dall'altro sarà posta a fianco del pm». E se è un brocco? Gli domandano gli interlocutori. «Se è un brocco sono guai, se è un brocco sono guai - ripete Falcone - Per questo dico che dovrà cambiare la mentalità e dovrà cambiare per voi come per noi. Altrimenti saranno guai».
Falcone aveva ben chiaro che il nuovo codice avrebbe reso controparti i giudici e i pm. «Ogni volta che vado all'estero e cerco di spiegare ai miei colleghi stranieri che il pm è un magistrato ma non è un giudice alla fine mi dicono che hanno capito ma non hanno mai capito nulla. Perché in effetti è incompatibile l'azione con la giurisdizione: o chiedi oppure giudichi». Come chiedono i referendum, quindi, non è possibile fare il giudice e poi il magistrato. Per Falcone era giusto separare le carriere. Attacca, il magistrato simbolo della lotta alla mafia, i processi elefantiaci. Tanto da battere i pugni sul tavolo ripetutamente quando chiede di separare i processi importanti da quelli su cui «non vale la pena perdere tempo».«Accanto a un nucleo duro, importante, di fatti che vale veramente la pena di mandare avanti - diceva - ci sono una serie di reati satellite sui quali non ha nessuna importanza perderci tempo eppure li dobbiamo portare avanti. E sono queste le cause maggiori delle remore e della creazione di questi processi pachiderma».
Il magistrato aveva già intravisto le sfide che si presentavano e come si sarebbe adeguato. «In una indagine di criminalità organizzata molto ampia, io già mi sto attrezzando. Sto facendo preparare i cartelloni didascalici per far capire alla corte che non avrà nulla su che cosa è accaduto - spiegava - gli assegni non saranno più in fotocopia ma con diapositive». Insomma, «le strategie di repressione saranno più difficili e più articolate. E tutto questo presupporrà un salto di qualità professionale che necessariamente ci dobbiamo fornire. Non abbiamo alternative».
Falcone sa ben calare le norme tecniche del nuovo codice di procedura penale nelle vicende della Sicilia della fine degli anni Ottanta. «Noi come paese e certe volte noi come giudici, alla vigilia del secolo ventunesimo, dopo tanti anni di indagini, ancora non ci sforziamo di fare una seria analisi del fenomeno, così che spesso siamo portati ad esaminare congiuntamente nello stesso calderone, materie che sono analoghe ma non sono identiche. Piaccia o non piaccia, e nonostante tutto quello che la Suprema Corte frettolosamente ha voluto affermare - chiosa - vi è una organizzazione unica ed unitaria che è Cosa nostra e quella è l'associazione mafiosa».
«Se ancora noi ingenereremo nell'opinione pubblica la falsa, l'erronea supposizione di una organizzazione strana, o meglio di una non organizzazione, contribuiremo da un lato a non far capire nulla all'opinione pubblica o meglio agli organi centrali a sottovalutare il problema - denuncia Falcone - dall'altro consentiremo operazioni televisive come la Piovra 4 in cui è tutto un immenso magma di organizzazione veramente tentacolare e incredibile che fa terrorizzare e che è invincibile, perché questo è il messaggio che viene dato. E quando il fenomeno è invincibile, siamo tutti apposto. Ma non è così e lo sappiamo tutti».
Nella lunga lezione di Falcone c'è spazio anche per descrivere la mafia: cos'è, come agisce, come si muove. L'organizzazione di Cosa nostra è un qualcosa che investe tanto a reticolo tutto il territorio che basta che solo alcuni diano gli ordini, perché poi tutto il resto diventa un fatto automatico. E il legame tra mafia e voti elettorali. «Le linee di tendenza le stabiliscono i capi. A Palermo, almeno fino a un certo momento, vi erano 18 mandamenti, ognuno con almeno 3 famiglie. Ogni famiglia mediamente ha o aveva una cinquantina di uomini d'onore.
Se tenete conto che ogni uomo d'onore controlla una serie di amici e parenti, vi rendete conto come certe linee di tendenza siano immediatamente operative, attraverso i canali gerarchici, per orientare fasce non indifferenti dell'elettorato in un senso anziché in un altro. Altra conferma dell'unicità di Cosa nostra».(1.continua)
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