La libertà di insulto vale solo a sinistra

Vince la retorica del politicamente corretto, soprattutto sul tema dell'immigrazione

La libertà di insulto vale solo a sinistra

Ormai è un classico. In quasi tutti i talk show vige la libertà d'insulto contro Matteo Salvini, il leader della Lega. Un paio di sere fa, l'abbiamo visto a Parallelo Italia , su Raitre, replicare alle accuse di Roberto Saviano. L'autore di Gomorra , in un'intervista registrata e senza fornire prove, ha ricondotto il recente interesse della Lega per il Sud al fatto che al Sud i voti si possono comprare. Il conduttore Gianni Riotta è rimasto muto davanti a queste gravi affermazioni. Salvini, sulle prime incredulo, ha reagito con forza.

Ieri mattina, Salvini ripassa da Raitre (ma allora è un vizio...) ospite questa volta di Agorà estate . Si parla di immigrazione. In studio c'è Vauro, che fornisce l'ennesima prova degli sconquassi provocati da sessant'anni e passa di mitologia sulla superiorità morale della sinistra. Il vignettista mette subito in chiaro: «Sono buonista e radical chic». Forte (si fa per dire) di questa premessa, Vauro rifiuta la discussione: «Non interloquisco con un individuo che disprezzo moralmente, profondamente» in quanto «campione degli istigatori di odio». Salvini assume nel frattempo la consueta espressione allibita e mormora: «Però è una cosa triste». La conduttrice Serena Bortone si rivolge al vignettista: «Beh, mi dispiace». Vauro coglie la palla al balzo e fa partire la seconda parte del pistolotto nella quale illustra un singolare concetto di democrazia: «Scusi ma lei pensa che la democrazia significhi accettare di interloquire con chiunque, anche con persone profondamente razziste e fasciste?». La domanda è retorica. Vauro aggiunge anche alla Costituzione più bella del mondo un articolo che non ricordavamo: «Io penso che la nostra democrazia, basata sulla nostra Costituzione, mi impone di non accettare interlocuzioni con i fascisti come Salvini». A questo punto entra in scena il «razzista e fascista», che espone un'idea dettata dal puro buon senso: «Io sono per il rispetto delle regole, io dico che l'immigrazione va controllata». La scoperta dell'acqua calda non basta a placare gli animi. Vauro sull'immigrazione: «Sono scosso emotivamente perché siamo testimoni di un olocausto, 2000 morti in 6 mesi. Coglioni che non siete altro!». In studio si aggiunge il deputato Pd Gennaro Migliore: «Salvini lei si dovrebbe vergognare di quello che sta dicendo, ed avere rispetto delle vite che non ci sono più». A questo punto, Salvini si arrende e lascia la trasmissione «schifato dall'intolleranza dei “tolleranti” in studio». Nel pomeriggio querela Vauro: «Spero di dare in beneficenza un po' di soldi che questo signore sicuramente ha in tasca».

Perché stupirsi di episodi come questo? In Italia è possibile parlare di immigrazione in un solo modo, quello del «socialismo umanitario», che sventola la parola solidarietà senza calcolare le conseguenze di una immigrazione incontrollata. Esiste un'ampia letteratura che mostra quanto sia sbagliato bollare come razzista ogni richiesta di fissare paletti. Un titolo per tutti: Pluralismo, multiculturalismo e estranei (Bur) di Giovanni Sartori. Sono molte le variabili che il «socialista umanitario» si rifiuta di considerare. Elenchiamone qualcuna. L'impatto sullo Stato sociale: si rischia di aprire una guerra tra poveri. L'impatto sulla composizione demografica: ha senso mandare cinquanta immigrati in un paese di 200 abitanti? L'impatto sulla criminalità: e in questo capitolo mettiamo chi lucra non solo sull'accoglienza ma anche sullo sfruttamento di una manovalanza ridotta in schiavitù.

Ci sono questioni culturali importanti: fino a che punto una società aperta può spalancare le porte senza perdere la propria identità?

Ecco, queste domande in Italia non si possono porre senza suscitare reazioni indignate. La retorica del politicamente corretto ha stravinto.

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