Libia, il nuovo governo affollato e a rischio caos

I ministri dovevano essere 10 e sono 32. La sfida del voto di fiducia e del trasferimento a Tripoli

Gian MicalessinPiù che un governo di unità nazionale chiamato a stabilizzare il paese e fermare lo Stato Islamico sembra la versione libica del manuale Cencelli. L'esecutivo partorito ieri a Tunisi dal Consiglio presidenziale del premier designato Fayez al Serraj, con la supervisione dell'inviato dell'Onu Martin Kobler, ha le disperanti sembianze d'una sfilacciata pletora di 32 ministri tanto irrilevanti quanto sconosciuti. Nelle ottimistiche previsioni dell'Onu non dovevano essere più di dieci. Dopo giorni di mercanteggiamenti anche il tedesco e tetragono Kobler s'è però arreso alla congenita rissosità libica. E così dopo la moltiplicazione di poltrone s'è consumata la miracolosa triplicazione del dicastero degli esteri dotato ora non solo del ministro Marwan Abusrewil, ma anche di un omologo per le relazioni internazionali e uno per i rapporti con i paesi arabi.Il peccato originale più grave di questo novello circo libico è però quello di contenere i germi d'ulteriori lacerazioni. Il più letale infetta la poltrona della difesa assegnata, dopo una notte di risse e defezioni, ad Al Mahdi Ibrahim Al Barghati comandante di una fazione di Bengasi. Considerato parte di quell' «Esercito Nazionale Libico» guidato dal generale Khalifa Haftar il ministro è, in verità, da tempo in rottura con il Capo di Stato maggiore del governo di Tobruk. La mossa, studiata per accontentare Tobruk, evitando concessioni ad un Haftar nemico giurato di Misurata e delle fazioni islamiste, è stata messa a punto lunedì sera ed è stata preceduta da una telefonata di contrattazioni dal premier Renzi a quel presidente egiziano Abdel Fattah Al-Sisi grande protettore di Haftar. La mossa rischia però di compromettere il voto di fiducia del Parlamento di Tobruk. Un voto indispensabile visto che l'Assemblea è, a differenza del Congresso di Tripoli, riconosciuta dalla comunità internazionale.Ma la ratifica è solo il primo di una serie infinita di problemi. Quello immediatamente successivo sarà il trasferimento dell'esecutivo a Tripoli. Khalifa Ghwell, premier della coalizione islamista al potere nella capitale, ha già annunciato di voler arrestare i componenti della squadra di miliziani messa in piedi dal generale Paolo Serra, consulente militare di Kobler, per garantire la sicurezza dell'esecutivo a Tripoli. Ancora peggio potrebbe andare quando il governo dovrà, come previsto, espellere dalle città tutte le milizie non incorporate ufficialmente nelle sue forze armate. Qualcuno confida che entrambi i problemi si risolvano con la richiesta d'intervento che il governo di Serraj non tarderà a rivolgere all'Onu non appena formalmente in sella. Il previsto contingente di 6000 uomini, 5mila dei quali italiani, ben difficilmente basterà, da solo, a controllare le milizie islamiste più riottose, difendere il governo dagli attacchi dello Stato Islamico, prevenire scontri intestini tra le milizie filo governative e tenere a bada quell'Esercito Nazionale Libico di Haftar estromesso fin qui da ogni accordo. Anche perché a quel punto il nuovo governo - e con lui Italia, Nazioni Unite ed Europa - dovranno far i conti con gli interessi di Turchia e Qatar, grandi protettori degli islamisti di Tripoli e con quelli di Egitto ed Emirati padrini indiscussi del generale Khalifa Haftar.

E se la fine dell'embargo sulle armi è indispensabile per permettere al governo nato ieri di combattere lo Stato Islamico sarà anche la condizione migliore perché ciascuno dei gradi padrini rifornisca i propri fedelissimi. In vista, se sopravvivranno all'Isis, della prossima divisione del paese.

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