Libia, la sfida del "premier" accolto da una bomba

Designato a guidare il Paese, Serraj sopravvive per un soffio. Come potrà stabilizzarlo?

Libia, la sfida del "premier" accolto da una bomba

Gian MicalessinSe il buongiorno si vede dal mattino non c'è da star allegri. Fayez Al Serraj, il premier designato a guidare la Libia è sopravvissuto per un soffio, ieri, alla prima missione a casa propria. Nel giro di poche ore ha rischiato di venir fatto a pezzi da un'autobomba mandata a «festeggiare» il suo atterraggio a Misurata, è sfuggito all'assalto dei miliziani pronti a dargli il benvenuto all'uscita dell'aeroporto e s'è, infine, sottratto per il rotto della cuffia all'agguato di un gruppo di armati decisi a impedirgli di lasciare Zliten. Un esordio da cardiopalma per un premier designato dopo oltre un anno di trattative e salutato dal nostro Matteo Renzi, lo scorso 28 dicembre, come l'uomo giusto per «stabilizzare la Libia».Tutto inizia ieri pomeriggio quando Fayez Al Serraj dà il via alla sua prima missione «segreta» in terra natale. La missione deve portarlo prima a Misurata e poi a Zliten per commemorare le oltre 70 reclute falciate dal camion bomba dello Stato Islamico esploso giovedì all'Accademia di polizia. Ma i guai arrivano ancor prima dell'atterraggio. A terra le forze di sicurezza di Misurata, allertate da una soffiata, danno la caccia ad un'ambulanza imbottita d'esplosivo guidata da un kamikaze dello Stato islamico e diretta proprio verso l'aeroporto. Così mentre l'aereo di Al Serraj gira sui tetti della città nelle strade s'intreccia una folle gimkana conclusa dall'esplosione dell'autobomba e la morte del kamikaze in una viuzza di Misurata. Intanto però la notizia dell'arrivo del premier è di pubblico dominio e un gruppo d'armati ostili al nuovo esecutivo blocca l'entrata dello scalo. Il premier, dileguatosi dalla porta di servizio, si ritrova nuovamente nei guai al termine della commemorazione delle vittime di Zliten quando tenta di riguadagnare l'aeroporto di Misurata distante 45 chilometri. Ad attenderlo questa volta si presentano cinque auto cariche di armati che aprono il fuoco contro i miliziani di Al-Halboos, la «brigata» misuratina incaricata di scortarlo. A quel punto solo la precipitosa ritirata verso il municipio di Zliten e la trattativa condotta dalle autorità cittadine gli consentono di montare incolume su un elicottero e riguadagnare la Tunisia.Il venerdì nero di Serraj è, però, la tragicomica dimostrazione dell'inadeguatezza del premier scelto dalla comunità internazionale e dal nostro governo per mettere fine al caos libico. Al di là di un innegabile coraggio - o di una temeraria incoscienza - Serraj dimostra di non possedere né l'autorevolezza politica necessaria ad imporsi sulla miriade di fazioni libiche, né la forza militare indispensabile per contrapporsi allo Stato Islamico. Se a Misurata, città in fondo pragmatica e relativamente moderata dove una ventina di fazioni armate sostengono il cosiddetto Accordo Nazionale, va così c'è da chiedersi come andrà quando si presenterà in una Tripoli regno delle milizie islamiste. Milizie islamiste pronte già ieri a sbarrare tutti i punti d'accesso della capitale. Ma se per portarlo a nominalmente Tripoli possono bastare un contingente internazionale bene armato e una sede lontana dal centro resta da capire con quali forze, quali alleati e quali armi Serraj fermerà l'avanzata dello Stato Islamico. Gli 800 miliziani del Califfato arrivati a Derna nel settembre 2014 in meno di un anno sono diventati oltre tremila. Oggi conquistata Sirte e messa in fuga la «Brigata 166», la più efficiente formazione armata di Misurata e del Paese, il Califfato controlla oltre 250 chilometri di costa, è pronto a mettere le mani sui terminali petroliferi della Cirenaica e muove cellule armate da Zliten a Misurata, da Tripoli a Sabratha.

Noi, invece, speriamo di fermarlo contrapponendogli un premier senza carisma privo di uno straccio d'esercito e di qualsiasi seguito politico. Incapace persino, come dimostrano i fatti di ieri, di rimetter piede nel proprio Paese.

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