Cittadini! Elettori! Presidenti di seggio! Scrutatori! Un mediocre politico potrebbe annunciare con retorica da comizio l'imminente fine della campagna elettorale più lunga della Repubblica che ha stremato partiti e istituzioni. Domenica prossima, 24 giugno, il ballottaggio delle amministrative chiuderà, almeno sulla carta, un ciclo durato poco più di due anni. Ogni tanto l'opinione pubblica fa bene a interrogarsi sulla mancanza di una democrazia compiuta, ma è altrettanto utile ricordare che dall'8 maggio del 2016 più o meno tutti gli italiani sono stati chiamati alle urne 13 volte tra elezioni politiche, comunali, regionali e referendum. Senza conteggiare i doppi turni alle amministrative delle ultime tre stagioni.
In ventiquattro mesi il soffio impetuoso della politica ha ridisegnato governi e assetti politici. Tutto nasce nel giugno di due anni fa, con l'avvio della campagna elettorale innescata dal referendum costituzionale del 4 dicembre che portò alla rovinosa caduta del governo Renzi-Boschi. Da quel momento è stato un continuo rimando alle urne successive, un cantiere infinito per tentare di creare nuovi assetti e schemi di potere. Per poi arrivare al big-bang del 4 marzo, che ha consegnato il governo a un asse sovran-populista scaturito dalle difficoltà numeriche del Parlamento e poi legittimato da un crescente coinvolgimento popolare.
In un Paese normale la propaganda sarebbe finita l'indomani o al massimo al momento della formazione dell'esecutivo. Non in Italia dove si è ancora votato in Molise (22 aprile), Friuli Venezia Giulia (29 aprile), Valle d'Aosta (20 maggio), Trentino Alto Adige (27 maggio) e in altri 783 comuni (10-24 giugno). Con un contorno di polemiche strumentali e soprattutto del mostruoso impegno elettorale dei frontmen di maggioranza Salvini e Di Maio che hanno frequentato più le piazze dei rispettivi ministeri.
Fino alle europee di maggio 2019, abbinate all'immancabile turno amministrativo, ci sarà una relativa pace; sono previste in autunno regionali in Trentino Alto Adige e in Basilicata.
Così da lunedì si aprirà un nuovo mondo, tutto da scoprire. Non ci sarà più l'alibi dei municipi da scalare o del punto in più di consenso da sottrarre ad avversari (M5s) o ad alleati (Lega). Sarà anzi l'occasione d'oro per archiviare la stagione di passaggio di un governo di lotta popolare che ha scelto la scorciatoia della democrazia diretta dei tweet e la presenza fisica nelle piazze. Ma in realtà pare difficile immaginare una rapida conversione ultra istituzionale di un esecutivo movimentista in cui il socio numericamente debole (la Lega) spera di invertire presto i rapporti di forza con elezioni anticipate.
Forse è solo un'illusione da pigri contare su una tregua che produca un'attività di governo depurata da demagogia e liti strumentali da talk show.Per tutti i partiti, entusiasti o riluttanti, le elezioni europee di maggio 2019 sono già cominciate ancora prima dei ballottaggi di Terni e Siena.
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