Che spettacolo veder sinistri e catto-comunisti stracciarsi le vesti per gli «eroici» marinai della Diciotti. Quanta sordida, fantastica ipocrisia in quei cuori in subbuglio pronti ad abbracciare marinai e divise d'Italia pur d'affondare Matteo Salvini e tornare a un'accoglienza senza limiti. Peccato non aver visto cotanto trasporto durante i quattro anni e passa in cui i nostri marò Massimiliano Latorre e Salvatore Girone sono stati bloccati a Nuova Delhi dal governo indiano con l'infamante accusa di aver ucciso due pescatori. Peccato non aver respirato tanta partecipata commozione quando rientravano le bare dei nostri soldati caduti in Afghanistan. Peccato non sentir parlare non di «eroismo», ma neppure di «rispetto» quando bombe carta, molotov e sanpietrini di No-Tav, no-global e centri sociali piovono su polizia e carabinieri. Ma cominciamo dai marò. Erano e sono, marinai pure loro, ma alla sinistra la loro causa non è mai andata giù. «La grottesca campagna che si è scatenata in Italia, trasformando i marò da artefici di un maledetto errore a quasi eroi, da celebrare con sbandieramenti e imbarazzanti proclami di orgoglio patriottardo, ci fa davvero riflettere sulla modesta statura della nostra identità nazionale» - scriveva Michele Serra. Emma Bonino, implacabile accusatrice del «bullo di periferia» Matteo Salvini nel caso Diciotti è la stessa che da ministro degli esteri dubitava dell'innocenza dei nostri militari e prendeva per buone le accuse indiane. «Non è accertata la colpevolezza, e non è accertata l'innocenza. I processi scriveva il suo sito Facebook - servono a questo». E come dimenticare Alfredo Simone Negri, lo spiritoso sindaco Pd di Cesano Boscone che al ritorno in Italia di Salvatore Girone pensò bene di deriderlo su Facebook. «La Fip, federazione italiana pesca, ha diramato un bollettino scrisse il burlone - in cui invita gli associati alla prudenza alla luce del ritorno dei due maró». Ma nell'allegra e tanto «umana» sinistra c'era anche chi non scherzava affatto. La pagina Facebook «Impicchiamo i marò» è stata cancellata solo quando l'amministratore è stato raggiunto da un avviso legale. E «Marò a morte» è rimasto per lungo tempo uno slogan assai in voga durante i cortei dei centri sociali. Ma in genere divise, armi e stellette non hanno mai entusiasmato i volonterosi militanti di una sinistra corsa a Catania per trasformare nave Diciotti nel proprio nuovo monumento. Tra le sue file vi sono quelli che lordavano i muri con la scritta «10, 100, 1000 Nassiriya», ma anche quelli più moderati, come Pippo Civati, che si accontenterebbero di ottenere l'abolizione della parata militare del 2 giugno. Ma a far buona compagnia a questa variegata brigata ci sono anche i vescovi, i preti e i cattolici sempre pronti ad intonare cori di sdegno contro Salvini. Sono gli stessi che sognano di modificare la «Preghiera dell'alpino» pur di cancellarne dal testo parole come «armi» e «minaccia alla Patria» ritenute inconciliabili con la fede. Gli stessi che a fine settembre del 2017 appoggiarono la lettera-appello del presidente di Pax Christi, monsignor Giovanni Ricchiuti in cui si chiedeva di rivedere la proclamazione di «Papa Giovanni XXIII patrono dell'Esercito italiano» perché «la vita e le opere del Santo Papa non possano essere associate alle forze armate».
Oggi tutti insieme questi cattolici e quei sinistri si stringono attorno alla nave Diciotti e i suoi marinai. Ma il loro unico vero amore restano gli immigrati. Da dimenticare, di lì a poco, in un campo di pomodori o nel degrado di qualche periferia.
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