L'ipotesi: "Immunizzato il 10% degli italiani"

Incarico ad Arcuri: esami su 150mila persone. In zona rossa risultati deludenti

L'ipotesi: "Immunizzato il 10% degli italiani"

Parte il primo screening nazionale con i test sierologici per capire chi è immunizzato dal coronavirus. Saranno selezionate 150mila persone suddivise per fasce di età, per profilo lavorativo e genere. A Domenico Arcuri è stato affidato l'incarico di avviare la procedura pubblica per la ricerca e l'acquisto dei test, che dovranno rispondere ad una serie di caratteristiche individuate dal ministero della Salute. Ma non tutti si aspettano grandi risultati.

Alessandro Venturi, presidente dell'Irccs San Matteo di Pavia, l'ospedale che ha ideato il test breve con anticorpi neutralizzanti, ha già in mano un documento che smentisce ogni aspettativa. «Sarà una delusione quando vedremo i risultati anticorpali sulla popolazione».

Come mai? «Con il test ideato al San Matteo è in corso uno studio clinico su una parte della popolazione nella zona rossa, in circa 11 comuni del lodigiano - spiega - Io mi sarei aspettato che il 50% della popolazione avesse anticorpi. Invece, dai primi risultati, sembra che si ci attesti tra il 20 e il 30%. Un dato che se proiettiamo su scala nazionale, potrebbe dirci che solo il 10% si è immunizzato. Dunque, gran parte della popolazione non è coperta e dovremo convivere con le misure di protezione. Non c'è altra strada». Ma a cosa serve dunque il test? «Non è la soluzione del problema aggiunge I tamponi servono per fare diagnosi, i test sierologici per capire chi si è immunizzato. Entrambi i risultati sono utili per fare analisi di prevalenza. Ma fino al vaccino, dovremo cambiare le nostre abitudini di vita. Non saremo reclusi, ma affronteremo la vita sociale con l'idea che siamo esposti al rischio».

Capire chi sono gli asintomatici che circolano, però può fare la differenza nei posti di lavoro. «Ci sono molte sollecitazioni dal mondo del lavoro per fare una mappatura dei dipendenti. Ma ci sono pro e contro».

I problemi sono molti da affrontare. Ma il più urgente è quello di avviare lo screening in Lombardia, la regione più colpita, che il 4 maggio vuole riaprire i battenti con delle sicurezze. Anche con lo strumento ideato al San Matteo, considerato molto affidabile. Ma cosa lo differenzia dagli altri certificati? «Molti test spiega Venturi - segnalano la presenza degli anticorpi che non sono tutti uguali. Solo una quota di IgG è efficace nell'uccidere il virus, si chiama neutralizzante ed è quella che viene rilevata dal nostro test». In pratica, se una persona possiede questi anticorpi neutralizzanti non dovrebbe avere alcuna necessità di effettuare il doppio tampone per rilevare la sua negatività finale al virus. «In teoria no, ma questo aspetto è ancora allo studio» aggiunge il presidente dell'Irccs. Che spiega il grado di affidabilità del test. «In caso di malattia il test rileva solo un'iniziale presenza di anticorpi, durante la convalescenza offre il 95-100% di efficacia».

Con queste premesse non resta che iniziare i prelievi, come già anticipato dai vertici lombardi. Il 21 si comincia dagli ospedalieri. Ma come funziona questo test? È un prelievo del sangue la cui provetta va in laboratorio. Si inserisce in una macchina e dopo un'ora si ottiene il risultato. Se ne possono processare 1.000 su un ciclo di otto ore. Quindi, visto che in Lombardia esistono 60 macchine nei laboratori di microbiologia, si può arrivare a 60mila test al giorno. Se si utilizzassero le 500 macchine disseminate sul territorio nazionale se ne potrebbero fare mezzo milione al giorno.

Fin qui il prossimo futuro. Il presente è fatto di privati e aziende che si sono mossi in autonomia e di sindaci che sottopongono a test la popolazione per tutelarla. «Sono iniziative profondamente sbagliate, reattive e scoordinate da ogni tipo di riflessione commenta Venturi - Serve seguire un protocollo scientifico e razionale». Ma i tempi sono lunghi.

Come quelli della Lombardia? «Qui eravamo nel pieno dell'incendio spiega - Prima di questo momento era assurdo fare questi test. Aveva senso concentrarsi sulla diagnosi e sui tamponi. Da ora in avanti è il tempo giusto. Nessuno è arrivato tardi».

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