L'odio per l'Occidente accomuna Pyongyang all'Isis

Il grande disordine mondiale rafforza l'humus di queste due realtà. La prima punta sulla minaccia nucleare. La seconda sul terrorismo

L'odio per l'Occidente accomuna Pyongyang all'Isis

Uno schiaffo in faccia alla Cina ed un nuovo smacco per l'America di Obama. La bomba all'idrogeno del paffuto Kim Jong Un, al di là della minaccia concreta misurata in kilotoni, è un altro colpo al perduto ordine mondiale. Al pari dell'espansione dello Stato Islamico, delle esecuzioni condotte dai sauditi sotto gli occhi dell'alleato americano o dello tsunami di profughi scatenato dalla Turchia grazie all'apatia europea la bomba termonucleare nord coreana misura il caos mondiale, l'incapacità delle grandi potenze di controllare le rispettive aree geopolitiche e l'inettitudine dei leader al comando da Bruxelles a Pechino, da Berlino a Washington. L'elemento più stupefacente del test della notte dell'Epifania non è, però, la capacità del regime di Pyongyang di assemblare un ordigno qualitativamente sofisticato, quanto la capacità di farlo esplodere. E di farlo all'insaputa o nella consapevole impotenza del miglior alleato, la Cina, e del peggior nemico, gli Stati Uniti. Questi due poli, Pechino e Washington e la loro condizione d'inconsapevolezza o di rassegnata impotenza sono i quattro fattori da cui partire per valutare la pericolosità di quanto avviene nella penisola coreana. Dalla fine della guerra di Corea nel 1953 ad oggi la Cina è l'unico vero alleato e protettore del regime nord coreano. Un regime con cui, al di là delle affinità ideologiche, intrattiene commerci per sei miliardi di dollari, da cui importa carbone e altre materie prime garantendo quelle forniture di derrate alimentari senza cui Pyonyang rischia la replica delle terribili carestie costate la vita, negli anni 90, a due milioni di nord coreani. Eppure ieri la signora Hua Chunying portavoce del ministero degli esteri cinese, spiegava che Pechino - oltre ad "opporsi fermamente" alla mossa di Pyongyang - ne era anche ignara. Quel doppio annuncio rappresenta, al di là della sua sincerità, una dichiarazione d'impotenza doppiamente dolorosa perché ammessa e riconosciuta proprio mentre Pechino persegue una dura contrapposizione con Giappone e Stati Uniti per il controllo del Pacifico. Un controllo difficile da esercitare se il primo a sfuggire alla sua supervisione è il fossile comunista a cui la Cina garantisce assistenza da 65 anni. Ma se Pechino piange Washington non può certo ridere. Anche se la bomba H di Pyonyang si rivelasse una sostanziale montatura, come fa intendere l'intelligence sud coreana, l'incapacità di prevedere e denunciare anticipatamente i bluff o l'effettiva capacità nucleare di Pyongyang equivale ad un clamoroso fiasco. Soprattutto se ad incassarlo è un "intelligence" obamiana intenta da anni ad origliare ed intercettare le comunicazioni dei propri alleati. L'ipotesi peggiore è però che la Casa Bianca abbia rinunciato ad agire pur essendo informata delle intenzioni di Pyongyang. E l'abbia fatto non solo per la consapevole incapacità d'intimidire Pyongyang, ma soprattutto per l'inadeguatezza di una diplomazia in grado di convincere la Cina, come insegnò Kissinger nei ben più complessi tempi dell'Urss, a perseguire una temporanea politica di contenimento. Ma la gravità di questo scenario geopolitico è ancor più grave se misurato con gli indicatori del ricatto e della proliferazione nucleare. Da oggi Kim Jong Un e la sua banda possono rilanciare l'estorsione nucleare basata sul baratto di visibilità e aiuti internazionali in cambio di un ipotetico disarmo. Da oggi qualsiasi entità con ambizioni nucleari, come a suo tempo la Libia di Gheddafi, l'Iran o il Pakistan, è ancor più tentata dall'avviare traffici clandestini con una Corea del Nord capace di dribblare controlli e sanzioni internazionali.

E tra queste entità è difficile non considerare ed inserire un'organizzazione terroristica che - oltre a condividere con Pyonyang l'odio per l'Occidente - è anche la prima a disporre di territori e risorse paragonabili a quelle di un vero stato. Quell'organizzazione si chiama Stato Islamico e - al pari di Pyongyang - cresce e si rafforza nell'humus garantitogli dal grande disordine mondiale.

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