Covid-19. È questo il nome di un nemico «più pericoloso del terrorismo» che al momento non è possibile fermare con un vaccino perché non sarà pronto prima di 18 mesi, anche se in Cina lo stanno già sperimentando sui topi.
É un nemico che ha già mietuto oltre mille vittime. «Co» come coronavirus, «v» per virus e «d» per disease, malattia.
Con un clamoroso cambiamento di toni rispetto ad un paio di settimane fa l'Organizzazione mondiale della sanità lancia un allerta globale sul coronavirus definito «il nemico pubblico numero uno di tutto il mondo e di tutta l'umanità», il peggiore «nemico che si possa immaginare perché un virus può avere conseguenze più devastanti di qualsiasi attacco terroristico».
Un bel salto dall'iniziale ritrosia a dichiarare l'emergenza sanitaria globale pure difronte alla scoperta che Pechino aveva una precisa responsabilità: quella di aver ammesso in ritardo che ci si trovava di fronte ad un agente patogeno sconosciuto. L'Oms lo battezza con un nome «neutro» per non richiamare le eventuali responsabilità, non certamente del popolo cinese, ma delle autorità e del governo di Pechino nella diffusione di questo coronavirus dal profilo ancora sfuggente.
Il direttore generale dell' Oms, Tedros Adhanom Ghebreyesus ha spiegato che era necessario «trovare un nome che non si riferisse a una posizione geografica, a un animale, o ad un individuo o un gruppo di persone. Un nome che sia anche pronunciabile e correlato alla malattia».
In sostanza non si deve più parlare di «virus cinese». Occorre «impedire l'uso di altri sostantivi che possono essere inaccurati o stigmatizzanti», ha precisato Ghebreyesus. Preoccupazioni che non esistevano al tempo della Mers, ovvero sindrome respiratoria del Medio Oriente. O di Ebola che prende il nome da un fiume della Repubblica Democratica del Congo. Nomi che erano diventati etichette negative che hanno indotto l'Oms ad elaborare nel 2015 linee guida rispetto ai nomi da dare a nuove e sconosciute patologie.
L'Oms ha fornito cifre aggiornate: 42.708 i casi confermati e 1.017 le vittime in Cina. Al di fuori della Cina i casi sono attualmente 393 in 24 paesi, con un solo decesso.
Ma intanto emergono dettagli che ancora una volta gettano un'ombra sulla gestione del virus da parte di Pechino. Secondo diverse fonti mediche, citate dal South China Morning Post, almeno 500 membri del personale sanitario di Wuhan, primo focolaio del Covid-19, sono stati infettati dal nuovo ceppo già a metà gennaio. E sempre in base alle stesse fonti il giornale riferisce che il governo avrebbe imposto il silenzio a medici e infermieri sul dato dei contagi totali. E oltre ai 500 confermati, ci sarebbero anche 600 sospetti.
L'Oms insiste che è ancora possibile contenere l'epidemia anche se esister il rischio che vada «fuori controllo». Una preoccupazione condivisa da Gabriel Leung, preside della Facoltà di Medicina della Hong Kong University. Intervistato da The Guardian il medico avverte: «se l'epidemia non viene controllata, il nuovo coronavirus potrebbe infettare circa due terzi della popolazione mondiale».
Un allarme che rinforza quello lanciato due giorni fa dall'Oms che aveva definito i casi di pazienti che son risultati affetti da coronavirus pur non essendo mai stati in Cina soltanto la «punta dell'iceberg». Secondo Leung ora si deve capire la dimensione della parte «nascosta» di questo iceberg.
Dato che si ritiene che un contagiato sia in grado di trasmettere il virus ad almeno 2 persone si arriva ad un tasso del 60 % di tutta la popolazione. «Un numero tremendamente grande», sottolinea Leung. Anche se il tasso di mortalità fosse basso,l'1 % ,il bilancio delle vittime sarebbe comunque enorme.
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