Lui porta il pane, lei sta in cucina Sono i nostri Anni '50 (digitali)

La quarantena familiare ha cancellato la frenesia della vita moderna. Scoprendo anche che esistono i vicini

Lui porta il pane, lei sta in cucina Sono i nostri Anni '50 (digitali)

In certi momenti si sente la voce narrante di Guido Notari che scorre sotto le immagini di un documentario dell'Istituto Luce. Solo che quello che passa sullo schermo è la nostra vita: un lungo fermo immagine in uno strano tempo sospeso che pulsa come la luce di una lucciola. Intrappolati in casa e in ore lente perché fuori, da qualche parte, in nessun luogo, dappertutto c'è una minaccia tanto vaga quanto specifica. E noi, dentro, a inventarci sceneggiatori di noi stessi per non lasciarsi andare ad una giostra di apprensioni. Il tempo è rimbalzato indietro, la congiura delle cose ci ha fatti tornare agli anni Cinquanta. Al momento senza prospettiva di boom economico, senza aver combattuto guerre ma cercando piuttosto di salvare il mondo stando sul divano, e con la stessa voglia, però, di riscatto e leggerezza, di rossetto rosso e di ripresa. Da quando il mondo si è improvvisamente rimpicciolito, ognuno è tornato al suo posto, al ruolo che aveva un tempo. Donne, uomini, mariti, mogli, figli, anziani, vicini di casa... Siamo negli anni Cinquanta ma nell'era digitale.

Le donne sono tornate in cucina, o hanno scoperto dove si trovi per la prima volta, dalla bacheca Instagram hanno tolto le foto delle ultime Louboutin acquistate e hanno caricato quelle della crostata appena sfornata. Signore che fino a un mese fa si sarebbero fatte torturare piuttosto di ammettere di saper cuocere un uovo, oggi si vantano in chat degli impiattamenti della cena e scelgono di far invidia alle amiche grazie all'ultimo ferro da stiro con caldaia a vapore consegnato da Amazon. Sono ormai recluse da giorni, ma, proprio come impongono le linee guida dell'Unicef, e un tempo il buonsenso degli anni 50, non lasciano che la sciatteria abbia il sopravvento, che la ricrescita ingrigisca, che i mariti le sorprendano in disordine quando tornano dopo essere andati fuori a procurare il pane da mettere in tavola (sono gli uomini, ad essere spediti al supermercato in tempi di coronavirus, è il loro Iraq), così come negli anni Cinquanta erano gli uomini a lavorare, guadagnare e provvedere alla famiglia.

Quindi pelle color confetto e sorriso a merletto, le signore della quarantena. Come quelle donne in technicolor che vivevano in mansarde di cartapesta e che, quando dovevano esprimere entusiasmi o contrarietà, si mettevano a cantare e a ballare accompagnate da orchestre invisibili. Si scambiano opinioni su come fare le pulizie, sul modo in cui lavare cosa, si girano ricette via whatsapp e le marche delle migliori pentole in ghisa per stufati, che vanno cotti a lungo come suggerisce la parola, ma tanto adesso di tempo ce n'è, non c'è che quello. Quello, e i vicini di casa, riscoperti dal balcone. Per anni li abbiamo salutati a malapena, giusto un ringhio in ascensore la sera tardi, tornando dall'ufficio, mentre con il cellulare ordinavamo la cena da Deliveroo. Ma adesso i vicini ci interessano, due parole da balcone a balcone mentre si sbatte il tappeto, o si stende una camicia, e poi la sera, a panni ritirati, vengono buoni per un aperitivo a distanza. O per due chiacchiere aspettando l'inizio del film di prima serata, mentre si prepara il caffè per il marito.

Questo è accaduto. Complice il virus, la quarantena, il decreto di Giuseppe Conte, le suppliche della Protezione Civile. Questo è successo, costretti a frequentare se stessi con assiduità, ognuno è tornato al suo posto: a settant'anni fa.

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