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L'ultimo paradosso Anche i palestinesi adesso nell'Interpol

L'ultimo paradosso Anche i palestinesi adesso nell'Interpol

Ha detto bene, tutto contento, uno dei maggiori leader arabo-israeliani deputati alla Knesset, Ahmad Tibi: «È un vero e proprio tsunami politico». Si, lo è, perché è un vero disastro naturale, è uno spappolamento del corpo che dovrebbe essere destinato a difendere il mondo dal terrorismo e anche dell'ormai misero significato della cooperazione fra Stati: il 76% dell'Interpol, l'unione fra polizie che deve cooperare per difendere i cittadini del mondo dall'illegalità e dal terrorismo ha votato per l'ingresso fra i suoi membri dello «Stato Palestinese». Oltretutto, uno Stato che non esiste: l'Anp è a oggi il frutto di complesse trattative sulla strada eventuale di una soluzione definitiva. Chiamarla «Stato» mostra che la decisione è politica.

Dentro l'Interpol abbiamo la polizia palestinese, ha dell'incredibile. Fatah, la parte di Abu Mazen, capo dell'Anp, promuove il terrorismo con stipendi ai terroristi che affollano le celle israeliane e o alle famiglie di chi è stato ucciso «in azione». Mercoledì dopo che un terrorista aveva ucciso tre israeliani innocenti a Har Adar sul Twitter ufficiale dell'Anp c'era scritto: «Condividiamo il dolore della famiglia del martire» e non si manca mai di esaltare ogni azione terroristica. Hamas poi, inneggia al terrorismo e allo spargimento di sangue israeliano con toni antisemiti e integralisti islamici. Hamas e Fatah hanno stretto un nuovo accordo che rinforza la loro fratellanza, non c'è nessuna possibilità di immaginare che il gruppo di Abu Mazen sia «moderato».

Che cosa ci fanno nell'Interpol mentre tutto il mondo è invaso da attentati condotti con i mezzi che loro stessi hanno inventato, auto lanciate sulla folla, spari, esplosioni, accoltellamenti? I palestinesi ne sono gli orgogliosi genitori. Sono 72 contro 24 gli Stati che hanno votato a favore della presenza palestinese. Qui potranno avere informazioni sensibili sulla lotta antiterrorista, suggerire mosse, spingere azioni contro cittadini israeliani o di ogni Paese che ritengano nemico.

L'avvocato Nitzan Darshan Leiner ha chiesto di accelerare le pratiche per arrestare il terrorista palestinese Saleh al Arouri, che nel 2014 pianificò il rapimento e l'uccisione per strada dei tre ragazzi israeliani Naftali Frenkel, Eyal Ifrah e Gilad Shaar. Sarà possibile adesso? Darshan Leiner dice che l'Interpol dovrà ricominciare il procedimento. Così sarà in molti casi. La loro abitudine a colpire nel mondo dall'eccidio di Monaco al sequestro dell'Achille Lauro a Entebbe avrebbe dovuto distogliere dal pensiero pretestuoso e inutile che i palestinesi siano terroristi diversi dagli altri, data la loro ambizione territoriale. Ma non è così: la Reuters ha chiamato l'assassino di mercoledì «gunman» o «l'uomo».

Per molti i terroristi sono «combattenti per la libertà»: la paura, la negazione ne ha sempre resa la definizione vera difficoltosa o imbarazzante. Ma arrivare a mettere il lupo a guardare le pecorelle, siamo a uno stadio che dovrebbe spaventare chiunque. Ne va della lotta contro il terrorismo stesso.

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