Milano - «Cesare Battisti è pericoloso oggi come allora», dice Piero Forno, che come giudice istruttore a Milano indagò a Milano sui crimini dei Proletari armati per il Comunismo, compresi i quattro omicidi per cui Battisti è stato condannato all'ergastolo. Oggi Forno è in pensione, e così pure molti dei magistrati milanesi che in quegli anni ebbero occuparsi della sanguinosa saga dei Pac e degli altri gruppuscoli sorti a margine delle Brigate Rosse. La stessa Procura generale, che si occupa per legge delle procedure di estradizione, in questa fase ha poca voce in capitolo. Ma le notizie contraddittorie che arrivano dal Brasile vengono seguite comunque con interesse profondo, perché vanno a riaprire ferite mai del tutto sopite, riportando alla luce storie degli anni in cui la magistratura milanese era in prima linea contro il terrorismo rosso, spesso isolata dallo snobismo degli intellettuali e abbandonata anche dallo Stato. Due colleghi di Forno, il giudice istruttore Guido Galli e il sostituto procuratore Emilio Alessandrini, vennero assassinati con grottesca facilità, perché nonostante fossero in trincea nessuno aveva disposto un servizio di scorta.
Così nei giorni scorsi la notizia dell'arresto di Battisti era arrivata come il segnale che finalmente qualcosa nella cortina di complicità e di inerzie che hanno consentito finora la latitanza del capo dei Pac si stesse rompendo, e che la possibilità di vederlo chiuso in un carcere italiano a espiare la condanna si stesse concretizzando. E la speranza continua anche in queste ore, nonostante la scarcerazione del fuggiasco e le sprezzanti, ottimistiche dichiarazioni rilasciate alla stampa.
Tecnicamente, in questa fase la Procura generale di Milano non è coinvolta nelle attività e nelle trattative per riportare Battisti in patria. La competenza a eseguire la condanna appartiene effettivamente alla Procura generale, perché l'ultima condanna incassata da Battisti è stata emessa a Milano. Ma il loro lavoro i magistrati milanesi lo hanno già ultimato anni fa, quando hanno trasmesso al ministero della Giustizia gli atti da inviare in Brasile per essere consegnati al governo locale. Da quel momento la pratica ha cessato di essere una pratica giudiziaria ed è diventata diplomatica e politica. Sulla necessità di catturare Battisti, nonostante i decenni passati, però la magistratura milanese è compatta e determinata. E Forno, in una intervista al Tg3, ha sottolineato i rischi che comporterebbe lasciare il terrorista a piede libero in attesa della decisione governativa: «È un professionista della fuga».
Il fronte su cui la Procura generale milanese potrebbe essere in futuro chiamata a mettere la sua firma riguarda l'esito delle trattative in corso tra i due governi, e la soluzione che verrà escogitata per lo scoglio principale sulla strada dell'estradizione: ovvero il divieto di condanne all'ergastolo previsto dalla Costituzione brasiliana.
Per sbloccare l'iter di consegna, Roma è intenzionata a garantire a Brasilia la commutazione dei quattro ergastoli inflitti a Battisti in trent'anni di carcere, tetto massimo per le leggi carioca: allo stesso modo in cui l'Italia estrada latitanti verso gli Stati Uniti a condizione che non venga applicata la pena capitale. Milano, una volta che Battisti le fosse consegnato, non potrebbe fare altro che adeguarsi. Ma l'importante è che arrivi.