Vittorio Emanuele di Savoia sarebbe il legittimo erede alla successione al trono d'Italia, qualora ci fosse ancora la monarchia. I dubbi sollevati da chi sostiene il cugino Amedeo d'Aosta, che accampa lo stesso diritto, vengono fugati da un documento esclusivo, scritto di pugno da Guibert d'Udekeim, esecutore testamentario su indicazione di re Umberto II e sottoscritto dagli appartenenti alla casa reale che siamo in grado di mostrarvi.
È il 5 dicembre 1983 quando d'Udekeim scrive: «Gli eredi designati da re Umberto II riconoscono che il principe Vittorio Emanuele è capo della casa di Savoia e Gran maestro degli ordini dell'Annunziata e dei Santi Maurizio e Lazzaro e che è depositario dei grandi collari del primo Ordine». A firmare furono, alla presenza della regina Maria José, Maria Pia, Maria Gabriella e Maria Beatrice di Savoia e gli esecutori testamentari Simeone di Sassonia Coburgo, re di Bulgaria, Maurizio D'Assia, langravio d'Assia e d'Udekeim, segretario del duca di Genova.
Gli attriti tra il re e il figlio Vittorio Emanuele, in realtà, si erano appianati da tempo. Riconoscendo le sorelle i diritti dell'erede al trono, che nel 1970 aveva sposato Marina Doria, che non era nobile, lo legittimarono di conseguenza, così come la madre, alla discendenza reale. Peraltro, la lettera in cui il re avrebbe rimproverato il figlio di non voler sposare una appartenente alla monarchia europea, non è altro che un documento dattiloscritto e confidenziale tra padre e figlio.
Umberto II non mise mai in pratica le minacce a Vittorio Emanuele. «Ti scrivo questa lettera - furono le parole del re nel 1960 - in modo che tu sappia in quale situazione verresti a trovarti se decidessi di sposare la signorina Dominique Claudel (una delle fidanzate avute dal principe, ndr)». Dopo aver chiarito che quelle parole erano per il suo bene e con l'affetto che gli portava, firmò semplicemente «tuo papà». Ma ci sono altre prove sul fatto che il re non prese mai quei provvedimenti annunciati e sul diritto alla successione di Vittorio Emanuele, che a questo punto, in qualità di Capo di Casa Savoia, può accampare anche priorità decisionali sulle salme dei due nonni, appena rientrate in Italia.
Nel novembre 2011 cinque consultori della Consulta dei senatori del regno (consultori, perché i senatori non si chiamano più così dal 1947), fuoriuscirono dall'attuale organismo, giurando fedeltà al duca d'Aosta. Tra questi Aldo Mola, attuale presidente della Consulta «ombra», che alla stampa si presenta come quella originale, pur non essendolo. Mola, a più riprese, ha detto che Vittorio Emanuele e suo figlio sono «esclusi da qualsiasi ruolo dinastico». Difficile crederlo, visto che lo stesso professore, nel 1992, si riferì proprio a Vittorio Emanuele per entrare nell'Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro e per fare ingresso, tre anni dopo, nella Consulta. Come mai, se il principe era decaduto da erede al trono dal 1970 Mola lo riconobbe?
Peraltro, il cambio di successione poteva essere attuato solo da re Umberto II, scomparso nel 1983.
In 13 anni di matrimonio con Marina Doria, Vittorio Emanuele non fu mai delegittimato al trono da alcun atto ufficiale del padre. Nel 1978, oltretutto, il re si presentò agli italiani riuniti a Beaulieu, vicino a Nizza, avendo evidentemente cambiato idea e convinzione e presentò ufficialmente il figlio e la nuora. Il resto è storia di oggi.
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