M5s, tutti contro tutti Gli ex usati come armi nella guerra per bande

I big come Di Maio, Fico e Dibba preparano lo scontro finale. Il ruolo di espulsi e fuggitivi

M5s, tutti contro tutti   Gli ex usati come armi nella guerra per bande

Non è più un dossier di politica interna, ma è il più grande conflitto dopo la Libia. Con la complicità della piattaforma Rousseau, a pochi metri da Palazzo Chigi, si sta consumando il più feroce dei massacri etnici, la più insensata delle battaglie e solo per conquistare la carcassa del M5s. La guerra è deflagrata ieri con il sacrificio di Luigi Di Maio: si è sciolto la cravatta. All'interno del movimento si contrappongono infatti due fazioni e due visioni diverse del vaffa: i dimaiani e i movimentisti di Alessandro Di Battista.

A capo della tribù più numerosa c'è il generale (dimissionario) Di Maio che ha disposto i suoi uomini nel Sud del Paese e che può contare sull'aiuto dei lealisti. Si tratta dei ministri Vincenzo Spadafora e Alfonso Bonafede che ultimamente si sono allontanati da Riccardo Fraccaro passato tra le file dei contiani. È la cellula finora in sonno, ma pronta a entrare in azione nei prossimi mesi. Ad avversare i lealisti pur condividendo l'autorità di Di Maio ci sono i pragmatici riflessivi che rispondono al sottufficiale Stefano Buffagni. Ha la sua roccaforte in Lombardia e per questa ragione è in competizione con il reggente Vito Crimi da sempre appartenente alla banda dei senatori. Sono i saggi anziani Nicola Morra, Carla Ruocco, Roberta Lombardi. Tutti e tre ce l'hanno con Di Maio ma per ragioni diverse: Morra voleva diventare ministro, la Ruocco è infastidita dal protagonismo di Paola Taverna mentre la Lombardi detesta Di Maio perché ha scelto Virginia Raggi sindaco di Roma. In questo grande scenario non si può non tenere conto della faida Capitale che vede duellare la Taverna e la Lombardi oggi tuttavia ricomposta grazie ai tavoli di pace organizzati da Giuseppe Conte. Entrambe sono annoverate come governiste e proteggono il governo giallorosso. Lo sostiene, ma nella striscia del gruppo Misto, anche l'ex ministro Lorenzo Fioramonti che si è dimesso chiedendo al premier di riconoscere il suo nuovo staterello. Si chiama Eco e sta raccogliendo i rifugiati, i fioramontiani, che in questi anni sono stati braccati da Davide Casaleggio e che hanno scelto di vivere senza più pagare la tassa Rousseau. Malgrado tutto sono ostracizzati dai contiani e dai dimaiani.

Pericolosi sono invece i commercialisti, gli hezbollah che seguono le lezioni del viceministro dell'Economia, Laura Castelli, e che non hanno mezze misure. Neutrali, ma solo perché stanno pianificando la strategia, ci sono a Est, verso Trieste, i patuanelliani. Si indicano i 5s di seconda generazione, secolarizzati e che puntano a fare entrare il movimento tra i partiti del mondo libero.

In minoranza, ma ancora decisivi (posseggono le password dei laboratori del M5s) sono i casaleggiani, Pietro Dettori, Max Bugani, Enrica Sabatini. Da giugno sono entrati in collisione con l'Elevato Beppe Grillo dopo la sua decisione di uscire legalmente dal M5s. Lo ha fatto per scongiurare i procedimenti legali degli espulsi, i richiedenti asilo che sognano di ritornare in patria. Hanno un leader ed è Gianluigi Paragone, il senatore cacciato da Di Maio a cui rimprovera l'alleanza con il Pd, il tradimento dello spirito. Era la stessa tesi di Roberto Fico, capo dei fichiani chiamati anche ortodossi, tiratosi fuori dallo scontro dopo aver ottenuto la presidenza della Camera.

È per questo

che tutte le attenzioni sono rivolte a Di Battista, vero sfidante di Di Maio, in viaggio per rubare i segreti dei chimici iraniani. Non parlate più di divisione. Siamo di fronte a un'emergenza. Sono tutti contro tutti...

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