Di Maio, Salvini e Conte si marcano a uomo per nascondere i guai

I due leader fanno gara a chi parla di più in conferenza stampa. Il premier "presentatore"

Di Maio, Salvini e Conte si marcano a uomo per nascondere i guai

Sorrisi a 64 denti, affettuosità e pacche sulle spalle: dal breve consiglio dei ministri che (parola di Gigino) «in 20 minuti ha fondato il nuovo Welfare State» (il povero Lord Beveridge si rivoltava nella tomba) Conte, Salvini e Di Maio escono decisi a dare l'impressione di un governo in piena luna di miele.

Ma già a metà conferenza stampa, mentre il grillino Di Maio si sbrodola da un quarto d'ora buono sulle bellezze del suo reddito di cittadinanza, illustrate dalla slide preparate dal suo consulente del Mississippi, il leghista Salvini dà visibili segni di impazienza e lancia occhiate scocciatissime al collega. Finalmente quello tace, e Salvini può prendersi la scena per illustrare le mirabilie delle sue pensioni anticipate, e lanciare un po' di insulti alla «signora piangente», ossia la ex ministro Fornero, colei che il sistema previdenziale lo ha riformato sul serio. «Si prepari a piangere ancora», è il minaccioso avvertimento del vicepremier del Carroccio.

La scena è stata accuratamente preparata per solennizzare il momento che loro definiscono «storico»: tre palchetti per i tre protagonisti, il premier Conte in mezzo col ruolo del bravo presentatore che dà la parola ora all'uno ora all'altro dei suoi sgomitanti vice. A lui tocca però la fastidiosissima domanda sulla manovra correttiva prossima ventura, quella che tutti sanno arriverà presto tra capo e collo agli allegri governanti, per rimettere mano ai conti già impazziti. Lui cerca di svicolare con piglio forlaniano: «Siamo solo ai primi di gennaio, c'è un tempo per tutto e non è questo il tempo di parlare di manovre correttive», flauta, ora è il momento di celebrare i grandi successi dell'esecutivo. Certo, ammette, «vediamo anche noi che si profila congiuntura non favorevolissima, ma siamo ottimisti». La manovra correttiva, insomma, si farà e non sarà una passeggiata di salute. Proprio per questo occorreva stringere i tempi e trovare urgentemente l'accordo, per raschiare il fondo del barile e dividersi equamente quel che resta per lanciare le rispettive bandiere da campagna elettorale, in vista delle elezioni europee. Un tot a Salvini su Quota 100, un tot a Di Maio sul reddito di cittadinanza, nella speranza che gli elettori non guardino troppo per il sottile sul funzionamento concreto delle misure, di qui a maggio. Così, dopo settimane di tensioni e litigi su tutto, leghisti e grillini blindano l'intesa in un vertice ieri mattina, mentre i tecnici lavorano disperatamente alla definizione delle famose coperture, e poi un Consiglio dei ministri pro-forma, con i presenti chiamati a dare via libera all'accordo dei capi politici.

Per tornare a scontrarsi c'è tutto il tempo, anzi di qui a maggio i litigi (anche in funzione elettorale) sono destinati a moltiplicarsi. Senza però far saltare il patto di potere che tiene insieme al governo i giallo-verdi: «In sette mesi abbiamo realizzato le misure più importanti: è la prova che tutti i punti del contratto si possono realizzare», esulta Di Maio (che in sette mesi di lavoro ha subito perso i capelli, come si notava ieri dalle vaste stempiature). Salvini gli fa eco: «Più di così in sette mesi era difficile fare, sono molto felice che abbiamo dimostrato di saper passare dalle parole ai fatti».

Poi lancia il cuore oltre l'ostacolo: «Sono stati sette mesi fantastici. Come i dieci anni che ci aspettano», annuncia. Durante i quali, assicura, lui e Gigino prepareranno nientemeno che «un nuovo Rinascimento europeo». Che volete di più.

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