Marino, schiaffi pure in borgata «Dimettiti, hai rovinato Roma»

Il sindaco va in visita a Tor Sapienza ma riceve solo insulti: «Buffone, a casa» E lui riesce nell'impresa di collezionare gaffe sulla Panda rossa anche all'estero

Marino, schiaffi pure in borgata «Dimettiti, hai rovinato Roma»

È pomeriggio. A Tor Sapienza, nel Far East di Roma, si avvicina una Panda rossa. Uno dei pasdaràn di via Morandi, il più ingenuo o forse il più spiritoso, grida minaccioso: «Ecco il sindaco!». Qualcuno ci crede. Il tizio alla guida, nel dubbio, dà gas e si allontana.

La storia, si sa, ogni tanto si manifesta in forma di aneddoto. E questo fatterello insegna molte cose: quanto fosse atteso il sindaco di Roma nel quartiere simbolo della periferia barricadera, quella della lotta stracciona tra residenti e immigrati. Quanto sia iconica la sua utilitaria, ormai soggetto di allucinatorie leggende metropolitane. Quanto il personaggio viva sospeso tra barzellette e contumelie. Uno che, da Londra, dice: «Se qui o a Parigi avessero la Metro C, direbbero di avere la metropolitana più bella del mondo». E: «A Roma dobbiamo veramente cambiare l'uso delle macchine private», mentre per un'auto privata lui sta giocandosi la pelle. Uno così, non può che essere un esploratore di nuove frontiere dell'eterno binomio politica-comicità.

Che poi Marino a Tor Sapienza ieri ci va davvero. Finalmente. A ora di pranzo. Senza Panda rossa, ovviamente. Con il vicesindaco Luigi Nieri al seguito. Ci va e scuote Tor Sapienza da quel torpore all'idrogeno che sono i suoi pomeriggi trascorsi a metabolizzare serate di rabbia e fuochi. Marino va al centro accoglienza per rifugiati e prende insulti a secchiate. Va nel bar che rifiutò di servire un caffè a due immigrati per sentirsi dire: «Dimettiti!» e «Vergogna!» e «Buffone!» e «Vattene via!». E pure: «Hai rovinato Roma!». Va per le strade con il cordone di forze dell'ordine che fa fatica a tenere a bada la rabbia della gente, radunatasi in fretta per il tam-tam di radio-protesta. Viene strattonato da chi vuole attirare la sua attenzione, indicargli buche, raccontargli guai. A Marino la gente di Tor Sapienza rinfaccia colpe sue e di tutti i suoi predecessori. Il degrado delle banlieue , la poca illuminazione, i mezzi pubblici che non funzionano. Ma soprattutto rimprovera quella sua lontananza vagamente paranoica, quella sua ostinata solitudine, quel suo essere il curatore fallimentare della città travestito da gestore di utopie aliene.

Ma Marino è a Tor Sapienza. Qualcosa deve pure dire. E allora va sul semplice. Promette: «Ci concentreremo sui problemi di questo quartiere senza venire meno all'accoglienza». Propone: «Voglio ospitare nel centro non più immigrati ma donne e bimbi in difficoltà». Concede: «Sono qui perché i media vi hanno dipinto come criminali e razzisti la siete persone come noi che cercano la felicità per se stessi e per i propri figli». Ma appena prova la zampata, riecco la gaffe: «Per le periferie abbiamo inaugurato la metro C, il più grande investimento in questo Paese negli ultimi 15 anni, due miliardi di euro». Non dice, però, che è un'opera progettata da altri sindaci, inaugurata in grande ritardo, solo per una tratta marginale, scollegata dalle altre linee e non a caso disertata dai romani nei primi giorni di esercizio.

Roma è stanca di Marino. Dovunque non si parla d'altro. Tutti, anche chi non lo può ammettere, vorrebbe tornasse a fare il chirurgo. Oggi un corteo spontaneo partirà alle 10,30 dall'Esquilino per dirigersi a piazza Venezia. Hashtag: #orabasta. Il comitato DifendiAmo Roma indice uno «sgomma day» che vivrà vari momenti in tutta la città. Perfino la Lega dà lezioni di politica in trasferta: ieri a Tor Sapienza Marino arriva poche ore dopo l'eurodeputato leghista Mario Borghezio («Prenderò la residenza a Roma», promette l'europarlamentare). E il Pd ? Prepara lo sfratto a don Ignazio anche lui. Primo passo, le dimissioni dell'assessore alle Politiche sociali Rita Cutini richieste dal responsabile immigrazione Khalid Chaouki in una direzione del partito. Applausi in sala. Applausi che fanno più male di dieci barzellette o di cento insulti.

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