Maroni avvisa Matteo: "Non fare come Alfano ministro e segretario"

L'ex titolare dell'Interno: "Angelino l'unico a riunire le due cariche. Non è finito bene"

Maroni avvisa Matteo: "Non fare come Alfano ministro e segretario"

Le opzioni per Matteo Salvini sono due: mollare la poltrona di segretario della Lega, dedicandosi anima e corpo al Viminale, o passare alla storia come il nuovo Angelino Alfano. L'ex ministro dell'Interno dei governi Letta e Renzi è stato uno dei pochi a mantenere le due cariche, segretario di partito (Ncd) e titolare del ministero dell'Interno. A giudicare dal risultato finale, sia politico che dell'azione di governo, non sembra sia stata una scelta intelligente. Alla fine del giro, Alfano è stato costretto a dire addio alla politica, senza lasciare traccia dell'attività istituzionale.

Roberto Maroni, il volto moderato del Carroccio, che ha ricoperto sia l'incarico di ministro che di segretario di partito, teme uno scenario identico per Salvini. Il leader della Lega, al termine del giuramento sul Colle, ha però subito messo in chiaro che non intende mollare la guida della Lega: «Resto segretario». Una scelta scontata, per il cerchio magico del ministro dell'Interno, che però solleva i primi dubbi sulla gestione salviniana nel Carroccio. Dalle pagine di Repubblica, Maroni si fa portavoce del malessere interno alla Lega, suggerendo a Salvini di abdicare al ruolo di segretario: «Gli ho posto il problema dell'opportunità di fare il ministro e insieme il segretario federale della Lega. Fare il ministro dell'Interno nel modo giusto - sottolinea - vuol dire stare in ufficio dalle 9 del mattino alle 21 di sera. Girare il territorio e stare vicino ai poliziotti. Quel rango richiede una riservatezza che altri ruoli non richiedono. È il responsabile unico della sicurezza nazionale. Non può mettersi a fare proclami tutti i giorni, cosa che invece farà Di Maio». Salvini dovrebbe dimettersi da segretario? «Questo lo deve decidere lui - risponde Maroni - l'unico che ha riunito le due cariche è stato Alfano e non mi pare sia finito benissimo».

Il calcolo politico del leader leghista è un altro: sa bene che la luna di miele con il M5S potrebbe non durare in eterno. Lasciare la guida della Carroccio favorirebbe gli avversari interni pronti a imporre un nuovo gruppo dirigente. Meglio, dunque, resistere sulla poltrona. A costo di imitare l'odiato Alfano.

Non c'è solo lo strappo sul doppio incarico, i nodi da sciogliere sono anche altri: la tenuta del centrodestra nelle giunte regionali del Nord e il tema dell'autonomia. Attilio Fontana e Luca Zaia, governatori di Lombardia e Veneto, temono che l'esito del referendum del 22 ottobre scorso non produca alcun risultato concreto per le due regioni. L'azionista di maggioranza del governo, il M5S, non ha alcun interesse elettorale sul tema. Per tranquillizzare i due governatori, Salvini ha spedito il ministro degli Affari regionali, Erika Stefani, a marcare il campo sull'autonomia delle Regioni: «Entro la legislatura, il più presto possibile, voglio portare in Parlamento la legge con l'intesa tra lo Stato e la Regione.

Non partiamo da zero, molto lavoro è stato fatto nella scorsa legislatura» ha dichiarato il ministro. Senza fornire certezze sui tempi. Certezze politiche chiedono i governatori del Nord, da Zaia a Toti, sull'unità del centrodestra. Compattezza che Salvini ha spezzato con l'accordo di governo con il M5S.

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