Un martire o una spia? I due volti di Julian che dividono il mondo

Un martire o una spia? I due volti di Julian che dividono il mondo

Il più cattivo dei buoni o il più buono dei cattivi? Genio, mitomane, democratizzatore, maniaco, ricattatore, giustiziere. Martire, laido, eroe, ingannatore. Oppure semplicemente mandace, anzi «Mendax», il suo nickname. Chi sia davvero Julian Paul Assange, il Robin Hood dell'informatica, non saremo noi a poterlo dire. Quello che è certo è che si tratta di un personaggio talmente ricco di contraddizioni da essere davvero candidabile a simbolo temporaneo di quest'evo storico equivoco e malfidente.

Quello che abbiamo visto uscire dall'ambasciata ecuadoriana a Londra è un giovane vecchio, la barba bianca da senzatetto, il corpo imbolsito dalla forzata sedentarietà, gli occhi da pazzo, un gatto triste che lo guarda attraverso il vetro. Un uomo capace di far tremare il mondo, una spia senza frontiere e senza amici, ma anche un nerd che ormai in quelle stanze di Knightsbridge non aveva più nemmeno una connessione internet stabile. Un demone dostojevskiano con l'odore di santità che si mischia al marciume dell'ambiguità. Mezzo mondo lo osanna come un eroe e teme per la sua vita, l'altra metà lo considera uno psicopatico.

Julian Paul Assange nasce nel Queensland, in Australia, il 3 luglio del 1971, figlio di due artistoidi scombinati. Lui racconterà di non essere mai andato a scuola, di essere un autodidatta formatosi nelle biblioteche. A sedici anni sa già programmare un computer, si sposa, ha un figlio, si separa, diventa un cypherpunk, poi aderisce agli «International Subersives», un gruppo di anarchici informatici che vuole fare la rivoluzione a colpi di file. Finisce più volte nei guai con la legge, perché lui ha un suo codice a cui solo risponde, quello della verità estrema che non usa come ramoscello di pace ma come obice semovente. Nel 2006 fonda WikiLeaks, una piattaforma che ha sede in Svezia sulla quale a partire dal 2010 mette un rete oltre 250mila ducumenti riservati che gli guadagnano un'incriminazione da parte degli Stati Uniti per spionaggio, reato che oltreoceano viene preso leggerissimamente sul serio e può portare all'ergastolo o alla pena di morte.

Ma i guai di Assange non sono legati solo alla sua attività di punk della Rete. In Svezia rimedia un ordine di cattura per molestie, stupro e coercizione illegale. Due donne lo accusano di avere avuto con loro rapporti sessuali non protetti, non è chiaro se consenzienti o meno. La Svezia chiede alla Gran Bretagna si estradarlo, e qualcuno vede in questa inchiesta dalla sospetta tempistica l'ombra lunga degli Usa. Londra traccheggia, poi concede l'estradizione ma nel frattempo Assange ha chiesto asilo all'Ecuador e ha trovato rifugio nell'ambasciata del Paese sudamericano a Londra. Il santo smanettone diventa il martire mondiale della libertà di stampa e di pensiero, qualcuno prova a candidarlo al Nobel, lui si rivolge all'Onu per far riconoscere il suo nascondino a Knightsbridge come detenzione arbitraria e il Palazzo di Vetro gli dà anche ragione, ma alla fine resta là. Ottiene anche la cittadinanza dell'Ecuador, prima che anche Quito inizi a diffidare della sua probità e decida di revocargli l'asilo.

Julian il pirata è

stato catturato. Ma come nei romanzi di Emilio Salgari, uno che scriveva di corsari senza muoversi dalla sua stanzetta torinese nemmeno fosse un'ambasciata londinese, non si sa davvero mai quando sono finiti i colpi di scena.

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