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Matteo e il rischio della "sindrome Renzi"

Matteo e il rischio della "sindrome Renzi"

Forse è davvero arrivato il momento di uscire dall'equivoco. E di farla finita con le abusate frasi di circostanza sull'unità del centrodestra, quelle che arrivano dal lato Salvini e quelle che rimbalzano dal fronte Berlusconi. D'altra parte, è piuttosto evidente che dietro la guerra sulla Rai si nasconde un conflitto ben più ampio e che è destinato - con ogni probabilità - a ridisegnare confini ed equilibri dell'intera coalizione. Sono ormai oltre due mesi, infatti, che il governo Conte ha giurato ed era inevitabile che il malinteso di un centrodestra che si è presentato insieme alle elezioni ma che si ritrova frantumato tra maggioranza e opposizione arrivasse al capolinea.

È successo in queste ore, nel primo passaggio parlamentare in cui i voti di Forza Italia erano necessari a Salvini per portare a casa il risultato. Senza il voto degli azzurri, infatti, era impossibile che la commissione di Vigilanza approvasse la nomina di Marcello Foa a presidente della Rai. Il leader della Lega ha provato a gestire la partita a modo suo, come già altre volte in questi mesi, mettendo gli azzurri davanti al fatto compiuto e dando per scontato che l'intendenza avrebbe seguito. Questa volta, però, Forza Italia ha tirato il freno a mano. E lo ha fatto non per una questione di merito ma di metodo e di politica. Accettare in silenzio l'imposizione di Salvini anche quando i propri voti sono decisivi avrebbe significato consegnare le chiavi di Forza Italia al ministro dell'Interno. Che, legittimamente come è giusto che sia in democrazia, sta portando avanti da tempo un disegno di egemonizzazione del centrodestra. Non è un caso che proprio ieri si sia detto pronto ad «aprire le porte» ai tanti parlamentari e amministratori azzurri che gli chiedono di «cambiare casacca».

E l'opa che Salvini ha lanciato su Forza Italia è così decisa che il leader della Lega non sembra volersi fermare davanti a nulla. Per dirla con le parole di Giorgio Mulè, è infatti «pronto a stracciare una decisione del Parlamento che certo non può essere superata dal celodurismo leghista». E in effetti se Foa non incassa il via libera della commissione di Vigilanza il vulnus è destinato a restare, con lo strascico di possibili ricorsi alla Corte dei conti. Ma le controindicazioni sono anche altre. In primo luogo le perplessità dell'alleato Di Maio, che ha sì promesso a Salvini che la nomina del presidente della Rai sarebbe stata «sua», ma che vuole anche evitare di infilarsi in un scontro di poltrone dagli strascichi pericolosi. Anche il presidente della Camera Fico avrebbe sollecitato il vicepremier in questo senso. Per non parlare del Quirinale che, pur non occupandosi di nomine, guarda con una certa preoccupazione a uno scenario di guerra che verrebbe a coinvolgere non solo il Parlamento (con la bocciatura in Vigilanza), ma anche il ministro dell'Economia Tria che Foa lo ha indicato. Il tutto in un quadro che sembra farsi più complicato dopo che si è saputo che il figlio del presidente designato lavora nello staff della comunicazione di Salvini.

Eppure il leader della Lega non sembra intenzionato ad arretrare di un metro, convinto che alla fine - magari facendo decantare agosto - riuscirà a spuntarla.

Vedremo se avrà ragione o se la vicenda Rai finirà per essere un primo passo di quella che qualcuno già chiama la «sindrome Renzi».

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