Non soltanto costringono il cervello ad arrampicarsi su sigle che starebbero meglio in una pièce di Cochi e Renato che nelle tabelle del fisco di un Paese civilizzato, ma prima l'«Ici», poi l'«Imu» e infine la «Tasi» hanno trasformato le case degli italiani in un «grande Bancomat» da cui la mano pubblica preleva senza sosta. Il conto del bottino è presto fatto: secondo Confedilizia, nel 2011 il gettito dell'Ici era pari 9,2 miliardi ma già l'anno successivo lievitava a 23,7 miliardi per fermarsi a 20 miliardi nel 2013. Una patrimoniale mascherata da 52,9 miliardi totali, a cui quest'anno va aggiunta la stangata della Tasi. Una super-tassa capace di assicurare, insieme all'Imu, tra i 24,8 e i 28 miliardi alle tasche del governo. E tra pochi giorni, entro il 10 settembre, ci sarà un altro regalo: i Comuni fisseranno le aliquote Tasi per negozi e capannoni per «spillare» altri 1,6 miliardi, per un rincaro tra l'89% e il 133%.
Davvero una batosta sia per quanti hanno risparmiato una vita per abitare in una casa di proprietà sia per quanti pensavano di ricavare dal mattone un rendimento con l'affitto. L'escalation fiscale è merito, soprattutto, del lascito di Monti che nel 2011, ha avuto l' idea di re-inventarsi l'Imu e di aumentare del 60% le rendite catastali. Un po' come se in pasticceria da domani si piccassero di vendere le torte non più a 30 euro al chilogrammo ma a 48.
Certo Monti ha regnato quando l'Italia pareva al collasso finanziario e occorrevano misure draconiane per sfamare le richieste della Germania di Angela Merkel, ma anche il progetto «Salva Italia» non ha prodotto grandi risultati, come dimostra l'attuale andamento del pil. Senza contare il balletto sul trattamento della prima casa e la stessa architettura della Tasi, disegnata dal successore Enrico Letta. Una tassa che, con la scusa tecnica di ripagare i cosiddetti «servizi indivisibili» assicurati dai Comuni (illuminazione pubblica, strade, verde), peraltro già sostenuti dalle addizionali Irpef, si affiancherà all'Imu sulle seconde case. Colpendo anche gli inquilini (con un contributo tra il 10 e il 30 per cento), cioè quanti, molto spesso, non possono comprare casa perché non trovano una banca disposta ad concedere il mutuo. In sintesi nel triennio 2012-2014 gli italiani pagheranno fino a 44 miliardi in più, considerando l'aggravio lasciato da Monti e dalla Tasi. Che per la prima casa può arrivare al 3,3 per mille delle rendita catastale, a sua volta rivalutata e moltiplicata per un coefficiente specifico per ogni tipo di immobile: al 2,5 base si somma lo 0,8 a discrezione delle amministrazioni locali, su cui ha posto la firma Renzi. Per le seconde abitazioni e capannoni, considerando Tasi e Imu, si totalizza invece l'11,4 per mille.
Percentuali che dovrebbero far riflettere se non altro per il fatto che il mattone rappresenta uno dei volani della ripresa economica. Invece tra la recessione e il cappio ai prestiti bancari, il settore dell'edilizia ha distrutto 800mila posti di lavoro e ha visto saltare, cioè fallire, 14.200 imprese. Non certo un bel quadro per lo Stato e quindi per i contribuenti, su cui ricade il costo ultimo degli ammortizzatori sociali.
La replica più ovvia è che i dati riportati siano di parte, partoriti dai computer di Confedilizia e dell'Ance che per lavoro fanno lobby.
Resta però il fatto che l'Italia, una volta considerato il sommerso è regina della pressione fiscale nella classifica dell'Ocse (53,2% del pil). Insomma tra catasto, aliquote, Imu, Tasi e «Tari», la nuova tassa sui rifiuti, la casa degli italiani è in macerie.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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