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"Meloni ingenerosa". Ma Salvini teme anche Zaia e la fronda veneta

La leader Fdi: "O noi, o il Pd". Il governatore si schiera con i 4 leghisti a rischio espulsione

"Meloni ingenerosa". Ma Salvini teme anche Zaia e la fronda veneta

Doppio fronte per Salvini, quello interno alla Lega con epicentro il Veneto e quello con la Meloni, con cui i rapporti non sono mai stati così tesi. La conduzione caotica delle trattative sul Quirinale, culminate in un testa coda sul Mattarella bis, ha fatto divaricare le fratture che già attraversavano la Lega e quelle con gli alleati con cui Salvini è in competizione (Fdi). La questione delle critiche interne al partito è finita al consiglio federale, dove Salvini ha ammonito tutti i colonnelli a dirsi le cose in faccia non più sui giornali.

La faccenda ha anche un altro risvolto, cioè i provvedimenti disciplinari che hanno colpito alcuni esponenti storici della Lega veneta, alcuni vicinissimi a Zaia, che ora rischiano di essere sospesi o cacciati dalla Lega: l'europarlamentare Toni Da Re, il sindaco di Noventa padovana Marcello Bano, l'ex presidente della provincia di Treviso e colonnello zaiano Fulvio Pettenà, e Giovanni Bernardelli, leghista con 25 anni di militanza alle spalle. Tutti colpevoli di aver espresso pubblicamente critiche al segretario federale.

L'europarlamentare Toni da Re ha avuto da ridire (come molti, ma lui apertamente) sulla questione vaccini («L'ambiguità del mio partito e del mio segretario sui vaccini è diventata insostenibile»), come pure Pettenà che quando la Lega aveva votato contro il green pass si era scagliato contro i vertici: «Inaccettabile, ma questi eletti a Roma fanno qualche telefonata ai loro territori, o si sono isolati nella dolce vita romana?». Bano invece ha contestato la scelta del candidato sindaco della Lega a Padova («Alcuni componenti del partito che dopo essere andati a Roma hanno perso il contatto con il proprio territorio») mentre Bernardelli è sotto «processo» per non aver appoggiato il candidato sindaco del partito a Conegliano. Il fatto è che non si tratta di quattro militanti qualsiasi e che dietro alcuni di loro c'è Zaia, che infatti si pronuncia così: «Le singole posizioni hanno una genesi e una storia personale. Poi c'è il diritto di replicare, controdedurre, i leghisti docg avranno modo di argomentare e di chiarire le loro posizioni» dice il governatore. Uno dei massimi esponenti di quell'ala «governista» che su molti temi, dai vaccini al governo Draghi fino al Quirinale, ha avuto idee differenti rispetto a Salvini. E infatti anche Zaia chiede i famosi congressi («impensabile non celebrarli» dopo il 31 marzo «se non ci sarà proroga dello stato di emergenza»), non solo per stabilire i pesi tra le diverse anime della Lega, ma come premessa alle liste elettorali che si faranno per le politiche dell'anno prossimo.

Ma oltre alle tensioni nella base, Salvini si deve guardare anche le spalle da Fdi, ai ferri corti con la Lega. La Meloni gli assesta una stoccata al giorno dopo la scelta della Lega di sostenere il Mattarella bis, mentre i leghisti la accusano di fare solo i propri interessi elettorali. «Il problema non è mio, noi siamo rimasti dalla stessa parte, qualcuno preferisce l'alleanza con il Pd» dice la laeder Fdi mandando una frecciata a Salvini. «Credo che vada chiarito questo punto: cosa si preferisce tra stare nel campo del centrodestra costi quel che costi o preferire l'alleanza col centrosinistra se non conviene quella col centrodestra?». Le risponde direttamente Salvini: «Giorgia Meloni è ingenerosa, abbiamo scelto l'Italia non il centrosinistra. Siamo in emergenza e fra il partito e l'Italia ho scelto l'Italia.

In condizioni normali mai nella vita governo col Pd».

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