Metà reddito in tasse: autonomi spremuti più dei dipendenti

Con 80mila euro di entrate, un professionista versa al Fisco oltre il 50%. Gli altri «solo» il 45%

Se un professionista (imprenditore, artigiano o commerciante) con moglie e due figli a carico guadagna più di 80mila euro lordi l'anno, nel 2017 lo Stato gli porterà via più del 50% del proprio reddito tra Irpef e contributi (previdenza più assistenza). Se, invece, è un lavoratore dipendente con coniuge e due pargoli da foraggiare a incassare la stessa cifra, il prelievo fiscale si attesta poco sopra il 45 per cento.

Queste enormi distorsioni dell'imposta sui redditi delle persone fisiche, celate dietro l'egida costituzionale della progressività, sono state analizzate in un working paper pubblicato dalla Società italiana di economia pubblica e scritto da tre autorevoli economisti: Fernando Di Nicola (consigliere del Dipartimento delle Finanze), Melisso Boschi (consigliere della commissione Bilancio del Senato) e Giorgio Mongelli. I tre autori non sono iperliberisti e, tuttavia, giungono alla conclusione che «i partecipanti al mercato del lavoro potrebbero essere scoraggiati ad aumentare la propria produttività nel momento in cui comprendono che a un incremento del reddito lordo corrisponde un minimo miglioramento - se non la stasi o il decremento - del reddito disponibile». Questa asserzione costituisce proprio il fondamento ideologico di coloro che sostengono la flat tax.

I tre esperti si concentrano, però, sulla giungla delle detrazioni fiscali aggiornate sulla base della legge di Bilancio 2017. In primo luogo, occorre analizzare l'andamento delle aliquote marginali medie a seconda del reddito lordo. Ebbene, in Italia i lavoratori dipendenti sono soggetti a un'aliquota negativa (cioè lo stato restituisce più di quanto prelevi) fino a 20mila euro di reddito. Un andamento amplificato dal bonus 80 euro che si esaurisce verso i 24mila euro. L'aliquota, infatti, sale velocemente al 30% attorno ai 45mila euro. Basta solo guadagnare 15mila euro l'anno in più (1.150 euro lordi mensili inclusa la tredicesima) per passare a un'aliquota media del 40 per cento. Il fisco, in pratica, divorerà in un colpo solo 7mila euro di quei 15mila che potrebbero, ad esempio, essere effetto di una promozione.

Agli autonomi va molto peggio. Da 3mila a 5mila euro annui lo Stato prende il 100% (e anche di più) del reddito perché le aliquote contributive sono fisse e abbastanza elevate. Da 5mila a 15mila euro la pressione scende poco sopra il 20% per tornare al 40% attorno ai 40mila euro. A 60mila si è già al 45% e si giunge, come detto al 50% e più sopra gli 80mila. Tanto per gli autonomi quanto per i dipendenti il problema è analogo e duplice: da una parte gli scaglioni Irpef, dall'altra parte i contributi sociali che incidono sulla busta paga o sul reddito disponibile (gli autonomi li versano in proprio).

Questo stato di cose impone

perciò una doppia riflessione. Non solo sull'opportunità di abbassare la pressione fiscale, ma anche di liberalizzare previdenza e assistenza, consentendo a ognuno di scegliere come costruire pensioni e assicurazione malattia.

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