Una folla di milioni di persone, mai vista negli ultimi trent'anni, ha invaso le strade di Teheran per la cerimonia funebre del comandante delle Forze al-Quds Qassem Soleimani, ucciso venerdì in Irak dalle forze statunitensi. A guidare le preghiere è stata la Guida suprema in persona, Ali Khamenei. Il leader religioso si è inchinato davanti al feretro, in lacrime. Il corpo di Soleimani è arrivato a Teheran dopo essere stato trasportato nelle città di Ahvaz e Mashhad. La processione di lutto durerà tre giorni. Anche la folla piangeva in quello che sembra un sentimento autentico e popolare. Altri stringevano le foto del defunto comandante. Le persone in lutto passavano vicino la bara e scandivano «morte all'America». Dopo il funerale i resti del generale sono stati portati a Qom, uno dei centri più importanti dell'Islam sciita e le cerimonie si concluderanno oggi con la cremazione del generale nella sua città natale, Kerman.
Khamenei ha promesso una «dura vendetta» per la morte di Soleimani. E Ali Akbar Velayati, consigliere del leader iraniano supremo ha minacciato che «se gli Stati Uniti non ritirano le forze dalla regione, affronteranno un altro Vietnam». Anche la figlia del generale, Zeynab Soleimani, ha usato parole forti. Ha parlato dalla bara di suo padre e ha minacciato che questa morte avrebbe portato un «giorno oscuro» per gli Stati Uniti e ha definito Trump un «giocattolo nelle mani dei sionisti». «Le famiglie di soldati americani nell'Asia occidentale che hanno assistito all'umiliazione degli Stati Uniti nelle guerre in Siria, Irak, Libano, Afghanistan, Yemen e Palestina trascorreranno le loro giornate aspettando che i loro bambini muoiano», ha intimato.
Il presidente iraniano Hassan Rohani invece ha risposto al Tweet di Trump che faceva riferimento al numero 52. 52 sarebbero i siti iraniani da colpire nel caso in cui Teheran attaccasse gli Stati Uniti. E 52 erano anche gli ostaggi americani presi nell'assalto all'ambasciata americana a Teheran nel 1979. Rohani invece ha fatto riferimento al numero 290, come i morti provocati da un missile statunitense che nel 1988 abbatté il volo Iran Air 655 mentre sorvolava lo Stretto di Hormuz. «Coloro che si riferiscono al numero 52 dovrebbero ricordare anche il numero 290», ha precisato. Il capo del programma aerospaziale dei Pasdaran Amir Ali Hajizadeh ha tuonato invece che «neanche uccidere Trump sarebbe sufficiente a compensare il sangue del martire Soleimani». Anche il successore del generale, Esmail Ghaani, non ha avuto toni concilianti. Ha ribadito che l'Iran si vendicherà «sradicando gli Stati Uniti dalla regione» e «continuando il lavoro del martire Soleimani con la stessa fermezza». E ha promesso vendetta: «Dio è il principale vendicatore» e «tutto sarà fatto» per vendicare Soleimani.
Nel frattempo il primo ministro iracheno Adel Abdul Mahdi ha rivelato che l'Irak stava agendo da mediatore per disinnescare le tensioni tra Teheran e Washington. Soleimani era volato a Baghdad per condurre una trattativa riservata con l'Arabia Saudita. Si trovava lì con un messaggio del suo governo in risposta a un altro proveniente da Riad. Il negoziato in corso era finalizzato ad allentare le tensioni tra i due Paesi con la mediazione irachena. L'Arabia Saudita, nemico dell'Iran e l'alleato arabo più importante degli Stati Uniti, ha avvertito che la regione si trova in un «momento molto pericoloso».
E il principe Faisal bin Farhan, ministro degli Esteri del regno ha invitato alla moderazione. «Siamo molto desiderosi che la tensione nella regione non si intensifichi ulteriormente. Speriamo che tutti gli attori prendano tutte le misure necessarie per prevenire ulteriori escalation e provocazioni».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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