Minzolini dice addio all'aula: sì alle dimissioni da senatore

Il via libera con 142 voti già alla prima votazione. L'ex direttore del Tg1: «Sollevato». Forza Italia: è un'ingiustizia

Minzolini dice addio all'aula: sì alle dimissioni da senatore

«I ngiustizia è fatta», chiosa Paolo Romani, presidente del gruppo di Forza Italia al Senato. L'Aula di palazzo Madama ha appena accolto le dimissioni di Augusto Minzolini. «Salvato» dalla decadenza - per la condanna per peculato - poco più di un mese fa ma subito accontentato, invece, ora che è lui a chiedere il placet per il passo indietro: 142 i voti favorevoli, 105 i contrari, 4 gli astenuti. E lui accoglie il verdetto sorridendo. «Mi sento bene, sollevato», commenta: «Sembra l'ultimo giorno di scuola». Tra gli azzurri, invece, non tutti sono in sintonia con lo stato d'animo dell'ormai ex senatore Minzolini. Detto di Romani, ecco Schifani stigmatizzare il prevalere di «pressioni e pregiudizi politici» sulle «storiche consuetudini delle Aule parlamentari». In altre parole, spiega l'ex presidente del Senato, «accogliere le dimissioni di un senatore fin dalla prima votazione è una mancanza di garbo istituzionale che trovo francamente deplorevole». E proprio il no dell'aula a marzo, per Schifani, ha fatto emergere «l'evidente fumus persecutionis» nella vicenda giudiziaria che lo ha visto condannato per peculato.

Quanto al voto di metà marzo, però, è proprio Minzolini che recide qualsiasi collegamento. «Questa - spiega l'ex direttore del Tg1 - non è la partita di ritorno del voto del 16 marzo; se fosse così, ritirerei quella lettera senza indugio. Quella partita i giustizialisti di ogni credo e gli interpreti di una Costituzione a proprio piacimento l'hanno già persa, punto. Il mio, semmai, è un gesto coerente». E in fondo, prosegue il dimissionario senatore azzurro, «il peggior peccato per chi vive nelle istituzioni è la viltà», e dunque «non abbiate paura», insiste Minzolini rivolto agli ormai ex colleghi. E mentre il Pd - che ieri ha votato sì - arrivava con Luigi Zanda a chiedere un improbabile voto palese cercando di far dimenticare d'aver salvato l'ex direttore del Tg1 dalla decadenza, a fare la faccia dura provvede il pentastellato Vito Crimi. Replicando direttamente a Minzolini. «Questa - ha detto il senatore a Cinque stelle - è invece proprio la partita di ritorno del voto sulla decadenza. Questa è l'occasione per Renzi e per il Pd per riscattarsi, se hanno capito quanto danno ha fatto quel voto alla loro forza politica».

Stupisce però il via libera alle dimissioni fin dal primo voto. Una «violazione della prassi consolidata», come ricorda ancora Romani, «in base alla quale le dimissioni vengono respinte nella prima votazione». Ma l'aula per Romani «ha ceduto al pregiudizio e al giustizialismo à la carte di un menu precotto nella gogna mediatica degli epuratori in servizio permanente effettivo». In fondo a dare ragione al presidente dei senatori azzurri è stato - sempre ieri, lo stesso Senato. Che dopo aver votato su Minzolini si è dovuto esprimere su un'altra richiesta di dimissioni, quella del senatore Giuseppe Vacciano, eletto con M5s nel 2013 e che dal 2015, dopo aver rotto con i grillini ed essere passato al gruppo misto, ha chiesto per coerenza di lasciare la carica. E per quattro volte, da febbraio 2015, palazzo Madama ha negato il suo placet al senatore suo malgrado. Che ieri ci avrà sperato, visto l'esito del voto su Minzolini. Invece niente. Solo 90 voti a favore, ben 129 contrari e 7 astenuti. Fumata nera, per la quinta volta. «Non so se sentirmi depresso o demoralizzato», sospira Vacciano dopo il voto.

«A Minzolini - prosegue - hanno creduto sulla parola, il Pd con Zanda gli ha riconosciuto la sincerità della spinta a dimettersi, mentre a me che già quattro volte avevo presentato la lettera di dimissioni, mi tengono qui». Meglio un dissidente grillino che un pentastellato in servizio permanente effettivo, insomma. Alla faccia della coerenza.

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