Caro direttore,
ti scrivo raccogliendo la protesta, da sempre silenziosa, di tutti quei genitori, non sempre ultrabenestanti, che hanno dovuto, e sottolineo dovuto, scegliere, anche con sacrifici, la scuola privata. Io, ad esempio, non ho avuto scampo. La mia personale esperienza, da genitore, nella scuola pubblica, un quinquennio di primaria, è stata, infatti, devastante. I fatti prima di tutto: per due anni, in prima e seconda elementare, la classe di mio figlio, in via Spiga a Milano, non ha avuto una maestra di riferimento. In compenso si sono alternate una cinquantina di insegnanti più o meno giovani, con nessuna attitudine all'insegnamento che, non sapendo cosa fare nella vita, erano nelle liste del ministero della Pubblica Istruzione, dove vengono pescati gli insegnanti supplenti che hanno punteggio grazie alla laurea. Un sistema demenziale (ma che, mi hanno spiegato, «serve a garantire equità di trattamento», ovviamente agli insegnanti) che ha persino permesso a una maestra, laureata, ma con problemi di instabilità mentale, di entrare nella classe di mio figlio. Sia ben chiaro che, a quel punto, noi genitori abbiamo tentato di tutto. Incontri a pioggia con la preside e persino con il provveditore. Insomma, una perdita di tempo infinita solo per avere un insegnante. Missione che si è dimostrata impossibile nonostante gli 800mila insegnanti dipendenti del Ministero.
Di chi, dunque, la colpa di un simile disastro? Ebbene, la colpa è del sistema. Cioè di una serie di regole accumulate negli anni che però, purtroppo, si sono trasformate in assurdi privilegi. Regole che potrebbero essere superate solo conferendo ai presidi quei poteri che sono al centro dello sciopero odierno del settore. Sia ben chiaro: la protesta è mossa soprattutto da un sindacato arcaico e contrario a cambiamenti che possano incentivare i docenti capaci, quelli che io non ho conosciuto, ghettizzando gli incapaci e rendendo più efficienti i pelandroni, di cui, invece, ho buona memoria. Dare più potere ai presidi, infatti, è l'unico provvedimento che si può prendere, in tempi brevi, per evitare la penosa deriva di inefficienza, certificata da più di uno studio europeo, della scuola italiana. Solo così, infatti, il preside riuscirebbe a tenere la sua scuola alla larga dall'insegnante assenteista e impreparato, onde evitare le proteste dei genitori. Ovvio che qualcuno sarebbe supergettonato mentre altri resterebbero a casa. Con grande vantaggio degli utenti finali: gli studenti. A cosa serve, vorrei sapere, avere un insegnante che twitta o manda sms per tutto il tempo delle lezioni (mi è capitato anche questo, tanto non può essere allontanato) o che, sempre in orario scolastico (sembra impossibile ma lo possono fare), frequenta corsi di specializzazione postlaurea? E ancora. Come si fa a nominare di ruolo a Milano una insegnante di Trapani che poi si mette in malattia a raffica? Eppure si fa, perché il sistema lo permette. Si potrà dire: la scuola privata è accessibile solo a chi ha disponibilità economica. Ebbene, non è vero. Basterebbe permettere di scaricare dalle tasse la retta (per intero) e dare sovvenzioni a chi ha reddito incapiente, chiudendo le scuole dove nessuno si vuole iscrivere. Con il doppio risultato di mettere in (vera) competizione scuola pubblica e privata, perché anche quest'ultima non è perfetta e può, o meglio deve, migliorare.
Se i cambiamenti non ci saranno il risultato è scontato: i supericchi andranno all'estero e i figli di chi ha un reddito medio ma, comunque, paga le tasse saranno condannati a un apprendimento non più al passo con i tempi. E un Paese in declino non potrà più garantire agli insegnati i loro amati, quanto assurdi, privilegi.
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