Firenze - «Siamo la seconda manifattura d'Europa e il settimo Paese esportatore a livello mondiale: c'è una diffusa richiesta d'Italia in giro per il mondo». Ivan Scalfatorotto, Sottosegretario agli Esteri del Conte II, galvanizza la platea durante la cerimonia inaugurale della 97sima edizione di Pitti Immagine Uomo a Firenze. «Viviamo di pace e di aperture internazionali: l'accordo di libero scambio commerciale con il Giappone ha fatto crescere il nostro export del 18 per cento e adesso ci aspettiamo grandi cose anche dal Canada con cui abbiamo da poco firmato un analogo trattato» conclude travolto dagli applausi degli addetti ai lavori dell'eleganza accorsi in massa a Firenze per il più importante appuntamento al mondo con la moda maschile. I giochi si aprono subito con Brioni che è un riuscitissimo esempio d'internazionalità con buona pace di chi nel 2012 si è strappato le vesti quando il Gruppo Kering di François Henri Painault si è comprato questo storico marchio romano mettendo una bella bandiera francese al posto del tricolore sulla mitica azienda di Penne, in Abruzzo, dove lavorano la bellezza di 1000 sarti da uomo.
«Fanno tutto a mano, perfino i 23 passaggi con il ferro da stiro su ogni spalla per renderle semplicemente perfette» spiega Norbert Stumpfl, designer austriaco di 42 anni che ha lavorato da Lanvin, Balenciaga, Berluti e Louis Vuitton prima di accettare questa sfida importante. Dire che c'è riuscito è poco perché la collezione presentata ieri sera negli aristocratici saloni di Palazzo Gerini era davvero stupenda. Tra i pezzi più interessanti un cappotto in cashmere della Mongolia nella sua tinta naturale (perfino i bottoni in corno provenivano da animali albini) ma con i rever belli larghi perché oggi i giovani sono tutti molto alti e questo è il target cui Brioni vuole puntare. Bellissimi anche le giacche da sera tra cui un modello in ottoman blu cobalto sopra alla camicia color cioccolato mentre quella in broccato veneziano impone per forza di cose il classico bianco con o senza sparato. Bellissima l'idea di presentare i 23 capi addosso ad altrettanti musicisti scelti dalle più importanti orchestre d'Europa: dalla Scala alle filarmoniche di Vienna e Berlino. Certo per riuscire a suonare uno Stradivari senza prezzo indossando una giacca in pelle di cervo oppure un perfecto in double, ci vuole un'abilità senza confini oltre a un'impeccabile costruzione sartoriale.
«La moda t'impone anche tanta umiltà» spiega Alessio Lardini, brand manager della capsule disegnata da Yousuke Aizawa, designer giapponese con una specifica competenza nello sportswear viste le sue precedenti collaborazioni con marchi come Moncler oppure White Mountaneering. «Per fare capi tecnici e performanti abbiamo chiesto aiuto a uno specialista perché noi siamo specializzati nel formale anche se con un certo twist» conclude il giovane Lardini lanciano un'occhiata reverenziale alla grande e bellissima collezione che suo zio Luigi, direttore creativo dell'azienda in generale, ha dedicato alla Transiberiana. Il bello è che pur essendo diversi in tutto e per tutto i capi parlano lo stesso linguaggio: made in Italy allo stato puro. L'apoteosi di questa sorta d'internazionale della moda in corso a Firenze si ha con l'emozionante mostra organizzata da Blauer alla Dogana a cura di Felice Limosani che ha costruito una trentina di monoliti luminosi con gli stupendi ritratti scattati da Jim Mollison in Texas, Michigan, California e Colorado al centro di un'indimenticabile proiezione in 3 D dei paesaggi ripresi da un drone durante questo viaggio alle radici di Blauer. Per la cronaca il fotografo è nato in Kenia, cresciuto ad Oxford e vive a Venezia con una moglie americana di origini cinesi.
«Ho perfino un figlio biondo con gli occhi leggermente a mandorla» ha concluso ridendo mentre Enzo Fusco, presidente e fondatore di FGF, l'azienda che 20 anni fa ha rilevato Blauer, storico marchio di giubbotti della polizia americana. Tutt'altro spirito nello stand di Borsalino, storico brand piemontese di cappelli controllato dal fondo italo svizzero Haeres Equita e con un creative curator come Giacomo Santucci, l'ingegnere che disegna come un angelo e che conosce il business internazionale della moda come pochi. Qui l'ispirazione spazia dall'Arts and Crafts di Mackmurdo e di Joseph Paxton nella londra della regina Vittoria al cappello che gli Hassidim portano nei paesi mitteleuropei realizzato però in fake fur. Il tutto con un divertente contorno di follia dato dal copricapo che in un solo modello assembla la casquette coloniale, il cappello da piogga e la visiera del baseball hat.
Divertentissime anche le calze del marchio In the Box con la bandiera americana, i disegni Serape degli indiani Navajo, le righe regimental e i motivi provenzali delle bandane. Il tutto made in Milano. Perché l'apertura mentale non è una frattura del cranio.
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