A mollare e cambiare cavallo non ci pensa per niente, Matteo Renzi. «Molti in Europa ancora non conoscono il mio metodo di lavoro e non ci sono abituati. Ma io non cambio», spiega a chi gli chiede se lo stop incassato a Bruxelles lo abbia fatto venire a più miti consigli. O se lo abbia convinto a cercarsi un «piano B»: «Ma quale piano B, il nostro candidato è e resta il ministro degli Esteri italiano».
Dunque in questo mese, di qui al prossimo vertice Ue, si continuerà a lavorare per spedire Federica Mogherini al posto di Lady Ashton, nella convinzione che quelli che contano (il Pse, Hollande in testa, e la Cancelliera Merkel, con la quale l'interlocuzione è praticamente quotidiana) il loro appoggio all'Italia di Renzi non potranno negarlo.
D'altronde la strategia dell'unico colpo, per la quale il premier è andato a Bruxelles con un solo nome, non lascia altre vie: se cambiasse candidato, Renzi ne uscirebbe come lo sconfitto. Per cui non arretrerà. A sentire i suoi, il presidente del Consiglio sarebbe anche assai seccato per le «manovre sottobanco» che altri attori italiani (e del Pd) avrebbero messo in atto alle sue spalle. Qualcuno, tra i renziani, confida a mezza bocca il sospetto che dietro molte posizioni sia politiche (alcuni paesi dell'Est) che di stampa (anglosassone) ostili alla Mogherini ci sia lo zampino degli «amici di Enrico Letta». Così come c'è chi fa notare come l'ambasciatore Nelli Feroci, che ha sostituito Tajani nella Commissione uscente, sia «molto vicino a Massimo D'Alema». Il quale peraltro si è comprensibilmente seccato di essere stato usato «come uomo nero, anzi rosso», come ha scritto in un sms a Renzi riportato da Repubblica, «per far passare la tua amica Mogherini», tanto più dopo che il premier (prima delle elezioni e del fatidico 40%) qualche speranza di andare lui a Bruxelles gliela aveva data.
Di certo, una volta promossa in Ue, la Mogherini andrà sostituita e il successore è già lì che freme: «Non ci sarà nessun rimpasto», assicura Angelino Alfano, «solo una sostituzione fisiologica». Sarà lui a riempire la casella, probabilmente: «Al Viminale, dove va raramente, Alfano ha grossi problemi, mentre alla Farnesina non ne creerebbe. Tanto, la politica estera la fa Matteo», spiega un renziano. Mentre al Viminale potrebbe andare Graziano Delrio, lasciando Luca Lotti a Palazzo Chigi. Anche se una parte del Pd sponsorizza per l'Interno Marco Minniti, attuale responsabile dei Servizi segreti. Nell'ipotesi «soft», il rimpasto d'autunno potrebbe fermarsi qui. Ma nel Pd ci sono scuole di pensiero diverse, e c'è chi prevede una «messa a punto» complessiva della squadra: in bilico il ministro della Pubblica Istruzione Stefania Giannini, di Scelta civica (al suo posto potrebbe entrare Andrea Romano) e quello degli Affari Regionali Carmela Lanzetta, possibile candidata alle Regionali in Calabria. Ma la seconda scuola, in aumento, esclude il rimpasto e vede piuttosto elezioni anticipate.
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