Mr. Trump balla da solo, ma deve sedurre il partito

Da qui a giovedì il tycoon senza avversari cercherà il sostegno di un movimento politico che non lo ama

Mr. Trump balla da solo, ma deve sedurre il partito

Presto per dire se sarà un campo di battaglia o un ricevimento festoso. Le previsioni però dicono: battaglia. La città è blindata, ma con armi nuove. Basta con le pallottole vere, usiamo quelle di gomma. Tutti possono girare armati ma non si possono portare in tasca palle da tennis e neanche le pistole ad acqua che possono confondere il tesissimo cop, il poliziotto. Il cop si sente da sotto il tiro del cecchino dopo Dallas e dopo Baton Rouge. Tutti tesissimi, il Gop inteso come rappresentanza di partito si mette in permesso sindacale. Se Trump vince, vince per tutti. Se perde, perde da solo. E poi si presenta sulla scena il numero due del ticket, ovvero il candidato vicepresidente Mike Pence di cui è noto lo slogan: «Sono un cristiano, sono un conservatore, sono un repubblicano. In quest'ordine».

Trump, un po' esausto di ripetere che lui vuole fare l'America di nuovo grande, si è ristretto in uno slogan di sicuro ed antico effetto: «Law and Order», legge e ordine, un caposaldo morale protestante del tutto antitetico al sentire misericordioso e buonista dei cattolici. Pence ha più o memo la stazza di Trump, ma i capelli corti e grigi su un viso meno mobile, meno da muppet. Trump lo tratta però come un suo muppet personale e quando si sono presentati insieme a CBS's 60 Minutes di domenica sera, il conduttore Lesley Stahl ha chiesto a Pence se concordasse con Trump nel definire John McCain un falso eroe di guerra visto che si fece prendere prigioniero. Pence, imbarazzato, ha un po' balbettato ma Trump gli ha fatto segno di continuare: «Dì quello che vuoi, non me la prendo», e ha cambiato discorso.

Pence rappresenta l'anima più conservativa della pancia repubblicana in uno Stato super conservatore come l'Indiana di cui è il governor. Ed è stato un fiero sostenitore della guerra in Irak che Trump considera una totale idiozia e idioti coloro che l'hanno sostenuta. Pence è conservatore quanto basta per sostenere una legge che vieta alle soldatesse di combattere in prima linea (considerata una conquista femminile per la parità assoluta), di autorizzare funerali per i feti degli aborti e rifiutare la celebrazione delle nozze gay. Questi atteggiamenti del concorrente vice presidente non hanno veramente nulla a che fare con Donald Trump che è un gaudente di dubbia fede (anche se evangelico), uno che ha più volte sostenuto l'aborto e ha sempre preso in giro i conservatori bigotti. E allora perché l'ha fatto, perché scegliere il governatore dell'Indiana fra tante scelte che aveva sottomano, più smaglianti? L'ha fatto per lanciare un ponte alla massa del Partito repubblicano che raramente ha avuto scatti di reni, se si eccettuano le presidenze del vituperato Richard «Dick» Nixon e di Ronald Reagan. La mossa politica che «The Donald» (come lo chiamava la prima moglie poco esperta di inglese) è quella di mostrare buona volontà nel riunificare un partito che quando si guarda allo specchio non si riconosce più. La stessa definizione di «uomo di destra» è saltata.

Trump ha allevato un elettorato di maschi bianchi che si sentono sottomessi alle invasioni barbariche dei messicani, dei latinos in generale, degli asiatici e oppressi dall'incubo del terrorismo. Certo, una tensione con gli afroamericani c'è ma non si tratta di razzismo. Si tratta piuttosto di quella che viene definita white supremacy. La supremazia bianca è finita da un pezzo ma un anno di scontri fra «anime blu» (i poliziotti) e «anime nere» ha portato all'escalation di queste settimane: ex soldati neri, eccellenti tiratori e che hanno servito in Afghanistan hanno deciso di vendicare i neri uccisi dalla polizia. I bianchi adesso hanno paura e si sentono presi di mira come i neri. Trump non accusa i neri ma accusa Obama per non saper prendere decisioni, lo considera il re tentenna che non interviene ma parla tantissimo.

Diceva Trump al fianco di Pence nella prima intervista televisiva di coppia: «Noi siamo i duri. Noi siamo quelli che attaccano. Obama è debole, è un uomo fragile che si è fatto guidare nel disastro dalla Clinton». Pence, come una scimmietta ammaestrata annuiva e se richiesto confermava: «Io sto con questo presidente che restaurerà la legge e l'ordine». E Trump: «Lo sentite che ha detto? Sono d'accordo con lui. Ecco perché mi piace, ecco perché l'ho scelto». Sorrisi fra i commentatori. Ieri alle 11 del mattino, ora americana, veniva diffusa la notizia secondo cui le distanze fra Donald e Hillary si erano notevolmente accorciate benché la Clinton abbia ancora un lieve margine sul repubblicano.

Fino a sera Trump ha passato ore a correggere il suo intervento irritato dalla defezione degli aristocratici repubblicani: nessuno dei Bush, fra cui due ex presidenti e un aspirante presidente. Forse Paul Ryan. È atteso come eroe solitario Rudolph Giuliani, il sindaco dell'Undici settembre, un altro duro che non molla e che vinse la sua determinata battaglia zero tolerance con cui riportò alla vita interi quartieri di New York. L'argenteria non c'è. Ci sono fuori che rumoreggiano quelli del «Mai Trump» davanti alla polizia che ha l'ordine di prendersela con calma e non esagerare con la repressione. Ci sarà però il party, la famiglia, i figli, la moglie (le mogli hanno sempre un grande ruolo nello show della convention) e poi lui, l'attore unico che sa mantenere la scena da professionista dello spettacolo, un mattatore che concede a se stesso tutte le licenze. Un pizzico di dietrismo, giravano ieri le ultime voci sul complotto: un certo numero di delegati che all'ultimo momento potrebbero cambiare idea e rifiutarsi di votare per Trump.

Quel che si vede, piuttosto, è che la reazione allergica ad Obama e alla sua filosofia. È un rigetto diffuso previsto e prevedibile. Il pendolo americano sta oscillando potentemente ed è questa potenza che rende quel pendolo appassionante.

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