Nello stesso giorno in cui si apre il processo per il caso Yara, basato quasi esclusivamente sulla prova del Dna, il governo apre definitivamente la strada alla schedatura su base genetica di centinaia di migliaia - milioni, in prospettiva - di italiani: un passaggio cruciale, con buona pace della privacy, per dare la caccia agli assassini e agli autori di altri crimini violenti, ma non solo. Un cervellone nazionale, e un laboratorio centrale, custodiranno il profilo genetico di chiunque sia stato non solo condannato ma anche semplicemente arrestato, fermato, messo ai domiciliari, in comunità. Un archivio della popolazione deviante o presunta tale in cui andare a cercare in prima battuta le corrispondenze con qualunque campione biologico rilevato sulle scene del delitto. È una rivoluzione che non avrebbe accorciato le indagini su Yara: Giuseppe Bossetti ha un passato immacolato, e il suo Dna nella superbanca non si sarebbe comunque finito. Ma la platea di schedati potenziali è enorme.
Il varo della superbanca, in teoria, doveva avvenire già sei anni fa, quando venne varata la legge che recepiva in Italia il trattato di Prum sulla cooperazione con alcuni paesi europei nella lotta al crimine internazionale e all'immigrazione clandestina: nella legge di conversione venne inserita la creazione della «banca dati nazionale del Dna». Per sette anni, la legge è rimasta carta inerte, in attesa del regolamento di attuazione. Adesso, sull'onda dell'allarme terrorismo e di drammatici casi di cronaca come quello di Erica Claps e Yara Gambirasio, i ministeri degli Interni e della Giustizia si sono mossi. E la schedatura in massa non servirà solo a dare la caccia agli assassini e ai maniaci, ma anche - stando al comunicato governativo - a contrastare l'immigrazione clandestina, che tecnicamente non è più un reato.
Adesso si parte, anche se ci vorrà del tempo per riempire di contenuti la banca: soprattutto per schedare gli ospiti attuali delle carceri, che sono circa 53mila, e per i quali sono già pronte in tutte le prigioni le «stanze bianche», i laboratori di prelievo. Poi, giorno per giorno, l'archivio si arricchirà dei dati di chi quotidianamente incapperà nelle maglie della giustizia. Diventerà una prassi, oltre a scattare le fotosegnaletiche e a rilevare le impronte digitali, anche farsi consegnare il Dna: materialmente, stabilisce il regolamento, avverrà con due prelievi di mucosa orale, ovvero due cotton fioc infilati in bocca. Da quel momento, i dati del potenziale killer resteranno in archivio per trent'anni, allungabili a quaranta per chi è sospettato di crimini particolarmente gravi. Sarà il laboratorio centrale della polizia penitenziaria a elaborare e codificare i risultati che poi confluiranno nel cervellone del Viminale
É un passo a cui l'Italia arriva in ritardo, dopo anni in cui in buona parte dei paesi occidentali la schedature è prassi. Le preoccupazioni del Garante della privacy hanno rallentato a lungo il varo del decreto di attuazione, e se ne colgono le tracce nelle procedure assai rigide che il decreto stabilisce per l'accesso ai dati e per la loro conservazione.
Ma sullo sfondo c'è anche il tema della piena attendibilità della prova biologica, del rischio dei «falsi positivi» su cui si gioca anche la sorte di Bossetti: e così anche il decreto di ieri si deve addentrare in questo terreno, e stabilire che esiste la «concordanza» ma anche la «quasi concordanza». Basterà, a incastrare un killer?
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.