Nei guai il paladino tv dell'antimafia

Il direttore di Telejato Maniaci avrebbe chiesto soldi a due sindaci, in cambio di una linea «morbida»

Valentina Raffa

Era divenuto il paladino dell'antimafia. Le sue inchieste diceva gli avevano procurato minacce, atti intimidatori e persino la tragica fine dei suoi cani, che sono stati impiccati vigliaccamente. Ma era un vestito che giorno dopo giorno Pino Maniaci, direttore dell'emittente Telejato di Partinico, si cuciva addosso, ergendosi a emblema della lotta alle mafie per fare, invece, gli interessi propri. Le malefatte subite erano opera del marito dell'amante, e lui stesso, come emerge dalle intercettazioni dei carabinieri di Partinico, ne era al corrente. Maniaci è oggi accusato di estorsione nei confronti dei sindaci di Borgetto e Partinico ai quali chiedeva denaro e favori in cambio di una linea morbida della sua emittente televisiva nei loro riguardi, e per lui è scattato il divieto di dimora nelle province di Trapani e Palermo.

Per poche centinaia di euro e i riferimenti spiacevoli che avrebbero danneggiato i sindaci sarebbero spariti dai servizi della sua tv. Avrebbe anche chiesto un contratto a termine per l'amante al comune di Partinico. E il sindaco di allora, Salvatore Lo Biundo, avrebbe accondisceso. «Se non si fanno le cose che dico - diceva - lo mando a casa».

Non sembrava vero nemmeno ai carabinieri della Compagnia di Partinico, che stavano conducendo una delicata indagine antimafia disposta dalla procura di Palermo sui clan della città e i rapporti con la politica locale, che ha portato all'arresto di dieci esponenti della famiglia mafiosa di Borgetto accusati, a vario titolo, di associazione mafiosa, estorsione e intestazione fittizia di beni, quando si sono trovati dinanzi un quadretto singolare con protagonista Maniaci e un sindaco, ripresi da telecamere nascoste.

Il sindaco gli consegna il denaro richiesto. «Il prefetto ha una relazione pronta per mandarla al ministero dell'Interno, per mandarvi tutti a casa gli dice Maniaci -. Ti sembra che scherzo? Io te lo avevo anticipato, annunciato. Ti ho avvisato. E continui a sbagliare». Avviene la consegna del denaro. «Così elimini merda» dice il sindaco. In un'altra intercettazione si vanta con l'amante che lo informa di essere stata inserita dal Comune in due servizi. «Tutto questo rispetto da dove viene? Fu una minaccia mia!» e la informa che avrebbe fatto in modo di vedere il sindaco in mattinata per «fottergli altri 50 euro». La rassicurava anche di farle vincere un concorso all'azienda sanitaria locale di Palermo grazie alle sue amicizie.

All'epoca della vile uccisione dei suoi amati cani, Maniaci al telefono fa il nome dell'autore del crimine legato a vicende personali, e anticipa che divulgherà che si trattava di un atto mafioso. «Ora mi devono dare la scorta, ce la giochiamo con la mafia». E irrideva le solidarietà ricevute. «Pensa che mi ha telefonato quello s... di Renzi».

Il giornalista, appreso giorni fa dell'indagine a suo carico, si era persino detto vittima di una vendetta della magistratura per le denunce fatte sulla mala gestione della sezione misure di prevenzione del tribunale.

Parlava così all'Antimafia delle minacce subite: «Negli anni abbiamo avuto qualcosa come 40 gomme tagliate, 3 macchine bruciate, ho subito un'aggressione fisica dal figlio del boss Vito Vitale, che ha cercato di strozzarmi con la mia cravatta». La testimonianza è riportata nella relazione della Commissione antimafia sullo «stato dell'informazione e sulla condizione dei giornalisti minacciati dalle mafie». Riferì di avere collezionato circa 300 querele, quasi tutte archiviate: «Le minacce sono state di diverso tipo.

Hanno cercato di intimidirmi anche bruciando la macchina di mio figlio. Tutto denunciato, tanto che dal 2008 sono sotto tutela dei carabinieri, e la guardia di finanza e la polizia hanno il compito di tutelare sede della televisione e casa».

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