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Il no all'aumento delle spese militari ricompatta l'asse M5s-Lega. E Iv incalza il Pd

Alla fine, le risoluzioni di maggioranza passano con ampio margine. Ma le crepe, i distinguo e i campanelli d'allarme attorno alla linea ferma del governo Draghi si moltiplicano ogni giorno

Il no all'aumento delle spese militari ricompatta l'asse M5s-Lega. E Iv incalza il Pd

Alla fine, le risoluzioni di maggioranza passano con ampio margine. Ma le crepe, i distinguo e i campanelli d'allarme attorno alla linea ferma del governo Draghi si moltiplicano ogni giorno.

Lo stesso colpo d'occhio delle aule parlamentari, con i banchi soprattutto grillini semi-vuoti mentre ieri il premier svolgeva la sua informativa sul Consiglio europeo di Bruxelles (cui sarà presente anche il presidente Usa Biden), segnala la difficoltà crescente. E non è un caso che proprio ora riemerga con preoccupante rapidità quell'asse giallo-verde (già molto filo-Putin) tra Giuseppe Conte e Matteo Salvini, che sembrava archiviato come brutta pagina della recente cronaca politica italiana, ma che con la guerra sembra riprendere vigore. Con l'obiettivo di approfittare della crisi per recuperare consensi demagogici, e di destabilizzare l'esecutivo.

Per i Cinque stelle di Conte il pretesto per scartare e distinguersi nel voto dalla maggioranza è la questione delle spese per la Difesa: Draghi ieri ha ribadito senza tentennamenti l'impegno preso (molti anni fa) dall'Italia di incrementare il proprio bilancio: «Noi vogliamo creare una difesa europea - scandisce - e per questo dobbiamo adeguarci all'obiettivo del 2% che abbiamo promesso come membri della Nato». Ma il grosso del gruppo parlamentare grillino, a Montecitorio, si astiene (dopo un lungo scontro interno, con gli uomini di Di Maio che tentavano di dissuadere gli ultrà contiani) su un documento presentato dagli ex M5s che impegna il governo a tradire gli impegni internazionali «non incrementando le spese per la difesa».

Per ora si tratta di distinguo simbolici: il documento viene respinto con il no del resto della maggioranza. Ma quando si tratterà di scrivere e approvare la legge di Bilancio cosa accadrà? Conte benedice immediatamente la scelta: «Con quale faccia, col caro bolletta, diciamo ai cittadini che bisogna dedicarsi alle spese militari?». Un attacco frontale al governo, uno sberleffo all'eterno rivale Luigi Di Maio ma anche un richiamo a quel vacuo pacifismo che a sinistra (dalla Cgil a Leu fino a pezzi del Pd) rischia di aprire brecce. E che trova sponda persino nella Lega, che solo la settimana scorsa aveva presentato un ordine del giorno a favore dell'aumento degli investimenti nella difesa (votato anche da M5s) ma che ora fa marcia indietro: «Al Senato non lo ripresenteremo», dice il capogruppo del Carroccio Romeo, che poi in aula attacca «i toni troppo belligeranti» di Draghi contro Putin: «Così si spaventa la popolazione».

Così suonano come un monito inquietante ma realista le parole del capogruppo di Italia viva Faraone a Draghi: «Ora c'è una larga maggioranza sull'Ucraina. Ma anche chi oggi la appoggia sarà pronto, con l'inasprirsi della crisi, a prendere le distanze per lucrare sulle difficoltà». E Faraone non parla tanto o solo di Fratelli d'Italia, che - ringraziata dal premier - finora si è allineata. Ma soprattutto di quel che accade nella stessa maggioranza. Il Pd, assestato da Enrico Letta su una linea fermamente atlantica, può attaccare il filo-putinismo della Lega, ma è in chiara difficoltà di fronte a quello dell'alleato 5s. «Certo è singolare - confida un parlamentare dem - che appena dalla Russia è arrivata la minaccia di far luce sui rapporti tra Mosca e i precedenti governi (ossia quelli di Conte, ndr), la linea anti-Putin si sia subito addolcita».

Il sospetto è che la destabilizzazione dell'esecutivo Draghi, e quindi della governance europea, sia una delle carte che Mosca cerca di giocare, anche attraverso quello che Letta definisce «il sostrato trasversale di filo-putinismo» nella politica italiana. Ma lo stesso Letta non vuole lo scontro aperto con il partito di Conte: in ballo ci sono le alleanze per le Amministrative, e soprattutto per le future elezioni politiche. Tanto più se la cupio dissolvi anti-Draghi portasse al voto anticipato in autunno.

Così resta irrisolto anche il caso Petrocelli, il grillino apertamente filo-Putin

che presiede la commissione Esteri e che chiede l'uscita dal governo. «È indifendibile, deve dimettersi», tuona Letta. Ma lui gli risponde con un pernacchio: «Resto qui, non prendo ordini dal Pd». E il Pd non sa che fare.

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