Il suo amo Matteo Renzi lo ha già buttato: «Abbiamo fatto due passi avanti con l'approvazione della Buona Scuola e l'incardinamento della riforma della Pubblica amministrazione. Ora - ha annunciato giovedì sera - focus su fisco e riforme costituzionali».
Della riforma del Senato si sa tutto, dai numeri ballerini alle trattative con minoranza Pd e Forza Italia. Ma è l'altro il vero focus da cui il premier spera di poter partire per la sua campagna d'autunno: il fisco. Dietro quell'accenno, per ora solo un indizio, c'è infatti un lavorio febbrile in corso, che sta creando anche una certa tensione sull'asse Palazzo Chigi - Via XX Settembre. Lo ha spiegato pochi giorni fa Pier Carlo Padoan ai suoi collaboratori: Renzi, «il mio giovane Capo» come lo chiama tra l'affettuoso e l'ironico il ministro dell'Economia, vuole uno «choc fiscale» da 20 miliardi per il prossimo anno. Un taglio netto e sostanzioso delle tasse, insomma, che sia in grado di dare una scossa decisa ai consumi. Uno «choc per la crescita» che vada ad incidere innanzitutto sull'Irpef, quindi sulle famiglie, e che sia di entità tale da far ripartire la domanda interna. Perché quanto è stato fatto finora, dagli 80 euro dell'anno scorso fino al Jobs Act, non ha ancora dato i frutti che il capo del governo sperava di vedere. Ieri Renzi ha doverosamente celebrato i dati molto positivi dell'Istat: «È un giorno significativo: dopo tanti anni la produzione industriale torna a crescere del 3%», un balzo in avanti che segna il record dal 2011. Ma ha evitato ogni trionfalismo: «Non basta, ancora non basta», ha subito chiosato. Ed è quello il ritornello che il premier ripete ai suoi e al ministro Padoan, negli ultimi mesi, ogni volta che arrivano nuovi segnali sul fronte della crescita, dell'occupazione, della ripresa che si affaccia, si ritira, stenta a prendere il volo: «Non basta», e non basta quel fragile 0,7% di crescita prevista per quest'anno.
Renzi ha bisogno di un volano positivo per uscire dall' impasse delle riforme osteggiate dalla guerriglia parlamentare interna ed esterna, dei sondaggi in declino, e soprattutto per iniettare energia nella prossima, durissima campagna per le amministrative 2016, dove lo aspetta al varco chi nel Pd vorrebbe usare una batosta elettorale per chiudere finalmente la parentesi Renzi, al governo e nel partito.
A Padoan, il premier ha chiesto per le prossime settimane un piano di riforma fiscale credibile. Che possa riguardare le aliquote per famiglie ed imprese: non a caso all'Economia stanno pensando anche ad interventi sull'Ires, oltre a quelli sull'Irpef, destinati soprattutto ai contribuenti a basso reddito. Il problema è sempre lo stesso: la tenuta dei conti. Il premier attende di conoscere l'andamento del caso-Grecia prima di ufficializzare la proposta. Per sapere se può essere modulata in funzione di una rivisitazione «elastica» della politica dell'austerità Ue o se - al contrario - bisognerà trovare vaghe forme di copertura finanziaria. Nel 2016 l'Italia dovrebbe registrare un deficit dell'1,8% del pil, contro il 2,6 di quest'anno.
E i 20 miliardi necessari per l'auspicato «choc fiscale» equivalgono all'1,4% del pil: per rispettare l'obiettivo e non aumentare il deficit ne andrebbero dunque trovati circa 40. Di una cosa però il premier, con i suoi, si mostra certo: «Se portiamo in Parlamento un taglio fiscale da 20 miliardi chi, a cominciare da Berlusconi, potrà votare no?».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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