Coronavirus

"Non uccidete le imprese coi processi sulla sicurezza"

Il giuslavorista affronta il tema della riapertura: "Le norme ci sono e vanno attuate, ma senza abusi"

C'è una gran voglia di ripartire. Ma il sistema produttivo deve fare i conti con il problema della sicurezza. «Attenzione - spiega l'avvocato Cesare Pozzoli, uno dei più affermati giuslavoristi milanesi - da un convegno all'altro ho constatato la sensibilità e la dedizione di molte imprese su questo fronte. Ma la buona volontà non basta. Occorre non essere ingenui e prevenire qualunque forma di abuso e financo di sciacallaggio. La cultura del sospetto può uccidere le nostre aziende come e più del virus».

A cosa si riferisce?

«Il tema della sicurezza è stato finora trattato dalle norme di legge, in primis dal decreto legislativo 81/2008 e dall'art. 2087 codice civile e dalla giurisprudenza in modo estremamente rigoroso: da un lato obbligando il datore di lavoro ad adottare tutte le doverose norme e disposizioni antinfortunistiche; dall'altro ritenendo che, in certi casi, esse non bastino neppure, essendo imposto un quid pluris, ovvero un maggior grado di cautela e prudenza rispetto anche agli standard normativi secondo il principio della massima precauzione».

Un assist per la magistratura?

«Oltre ai principi appena detti varie sentenze hanno condannato il datore di lavoro laddove, pur avendo previsto norme a tutela della salute corrette e Dispositivi di Protezione Individuali (Dpi) adeguati, non ha comunque garantito in concreto l'effettivo e costante rispetto delle disposizioni di sicurezza da parte dei propri dipendenti».

E perché questi principi generali non dovrebbero valere anche ora, di fronte alla pandemia?

«I principi ricordati devono certamente valere anche adesso. Ma occorre interpretarli alla luce della situazione che riguarda l'intera popolazione italiana e mondiale».

Quindi che cosa si deve fare?

«Credo sia difficile porre questa volta a carico dei datori di lavoro qualcosa di più che il doveroso rispetto delle già gravose norme a tutela della salute previste dalle normative nazionali, regionali e locali: utilizzo di mascherine e guanti, disinfettanti, distanze adeguate, visite sanitarie, sanificazione degli impianti. Farei fatica a ravvisare una colpa, e quindi una responsabilità civile ed eventualmente penale di un imprenditore laddove esso abbia - per esempio - prescritto il rispetto di una distanza di sicurezza tra lavoratori di 1,5 metri e dovesse emergere nei prossimi mesi, attraverso ulteriori studi ed analisi specialistiche, che la distanza minima di sicurezza da adottare non è di un metro ma, per esempio, di tre metri, addossando così sul datore di lavoro, impegnato nella fase 2 e nella sopravvivenza della sua azienda, rischi, contenziosi e oneri obiettivamente ingiusti, trasformando il principio della maggiore precauzione ex art. 2087 codice civile in una sorta di responsabilità oggettiva e lasciandolo in balia di possibili iniziative giudiziarie».

Teme una politica industriale dettata dalle toghe?

«Anche il principio normativo e giurisprudenziale va inteso con ragionevolezza e buon senso perché non si può, ancora una volta, in una situazione di emergenza come questa, obbligare le aziende a mettere un vigilante dietro ad ogni lavoratore per assicurarsi che vengano costantemente indossate le mascherine e i guanti, ancorché scomodi, che vengano lavate le mani almeno ogni due ore, che venga mantenuta sempre e stabilmente la prescritta distanza di sicurezza ecc. Un adempimento di questo genere sarebbe pressoché impossibile e si tradurrebbe in un onere insostenibile per molte aziende, soprattutto adesso che il tessuto imprenditoriale è così duramente messo alla prova».

In conclusione?

«Potrebbe essere che occorrano nuove e specifiche norme sanitarie e di sicurezza per fronteggiare questa pandemia per la sicurezza dei lavoratori; ma, forse, potrebbe bastare l'attuale normativa interpretata con buon senso e ragionevolezza. C'è in tal senso un esempio interessante».

Quale?

«Con una Nota del 13 marzo 2020 l'Ispettorato Nazionale del Lavoro ha impartito a tutela della sicurezza dei propri dipendenti disposizioni e rilievi che, almeno in parte, richiamano le riflessioni sin qui svolte: e se lo ha fatto l'Ispettorato - ovvero il controllore per antonomasia - per i propri dipendenti, questi principi dovrebbero valere per tutti i lavoratori».

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