I gialloverdi di governo stanno litigando nuovamente e di brutto. Stavolta non è la Tav a dividerli, ma un quesito più epocale: come sovranisti a petto in fuori è meglio essere agli ordini di Mosca, di Trump o di Pechino?
Il pasticciaccio cinese vede da una parte i grillini, pronti a inginocchiarsi a Xi Jinping (che Gigino Di Maio chiama confidenzialmente «Ping») non appena metterà piede sul suolo patrio e a vendergli porti, strade, «buchi» e pure la Fontana di Trevi, e dall'altra Salvini, assai più sensibile al secco altolà di Trump contro la Cina («Perché vuole diventare presto premier», inveiscono i grillini), che annuncia addirittura che diserterà la cena ufficiale in onore del presidente cinese, respinge il tentativo di «colonizzare l'Italia» e giura: «Col cavolo che firmeremo roba del genere». In mezzo il solito Conte, che si dice pronto a firmare qualsiasi intesa con la Cina o chiunque voglia M5s, purché non ci vada di mezzo la sua poltrona. E col solito piglio surreale assicura che «il governo si muove in modo coordinato e coerente» e certo non «improvvisa dall'oggi al domani» su un simile «scenario». Peccato che Xi Jinping arrivi tra dieci giorni, il governo italiano si stia tirando i piatti e il protocollo che verrà firmato sia sconosciuto anche al Parlamento.
L'Europa guarda con preoccupazione comprensibile a Roma: qualsiasi trattativa, in mano all'attuale governo italiano, può andare fuori controllo e diventare un pericolo per tutti. Figuriamoci quando si tratta di questioni di simile portata globale, che portano un paese Ue fuori dall'orbita occidentale. «Il governo sovranista si sta arrendendo all'invasione cinese», denuncia il presidente dell'Europarlamento Antonio Tajani, «Non possiamo accettarlo: la Cina fa i suoi interessi, ma l'Italia e l'Europa devono fare i propri». E da Fi l'europarlamentare Salini chiosa: «Il governo non ha la minima idea di come muoversi se non a caso e in ordine sparso. Avanti così e diventeremo il nuovo Venezuela».
La volta cinese dei Cinque Stelle è iniziata da tempo, con Di Maio e il sottosegretario alla Difesa Tofalo a fare avanti e indietro da Pechino e a presiedere i convegni della potente Huawei. I parlamentari grillini, da Corrao a Borrelli, che fino a qualche tempo fa lanciavano allarmi contro il «prossimo attacco finale della Cina» e denunciavano la via della Seta come «sinistro progetto per creare un nuovo ordine mondiale con la Cina attore dominante», sono stati evidentemente zittiti dalla Casaleggio.
Anche nella Lega però ci sono divisioni: è in quota Carroccio il sottosegretario (di Di Maio) Geraci, docente a Pechino e appassionato fan del regime cinese, di cui invidia la capacità di «interpretare i desideri della popolazione», rendendola «contenta».
Un modello da esportare, insomma, e non a caso è stato lui il mediatore («in quota Ping», mugugna qualche leghista) della trattativa che ha portato al memorandum. Anche il viceministro Rixi dice che il memorandum va firmato, «a meno che non ci sia una netta posizione ostativa degli Usa, che però devono spiegarcela».
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