Ok alle tasse però è l'ora di abbassarle

​C'è qualcosa che merita una riflessione nel discorso di fine anno tenuto da Sergio Mattarella, che ha sottolineato la necessità di far crescere l'economia rimuovendo i numerosi ostacoli che l'intralciano

Ok alle tasse però è l'ora di abbassarle

C'è qualcosa che merita una riflessione nel discorso di fine anno tenuto da Sergio Mattarella, che ha sottolineato la necessità di far crescere l'economia rimuovendo i numerosi ostacoli che l'intralciano e, al tempo stesso, ha ripetuto la solita difesa d'ufficio della tassazione. Non c'è nulla di strano e di sorprendente nel fatto che il Presidente della Repubblica, che si colloca alla cima del regime politico e istituzionale, difenda quei meccanismi di estrazione delle risorse che permettono al ceto dirigente di controllare in larga misura la società. Ovviamente, nel momento in cui Mattarella afferma che «la Repubblica siamo tutti noi, insieme», tra le righe egli vuole dirci che ognuno di noi vale più o come lui o come Giorgia Meloni, o qualsiasi alto esponente del Palazzo. Ovviamente le cose sono assai diverse, ma è normale che da chi interpreta quel ruolo vengano simili parole. È impossibile, però, non vedere come la promozione dell'economia che il Presidente ha giudicato un obiettivo cruciale richieda non tanto «unità d'intenti e coesione», ma invece una contrazione di quello Stato interventista che è oggi il principale ostacolo allo sviluppo. In linea di massima, gli italiani non contestano la fiscalità, ma certo vorrebbero destinare all'apparato politico-burocratico una quota ben più ridotta del loro lavoro e dei loro sforzi.

Dinanzi a un Paese che è piegato da una tassazione che in Europa compete soltanto con quella francese, il Presidente avrebbe dovuto rivolgersi alla classe politica di cui lui stesso fa parte invitando a una maggiore moderazione nella spesa e nei prelievi. Invece anche stavolta si è preferito puntare il dito contro una popolazione, quella italiana, che è tra le più tassate e umiliate da uno Stato opprimente.

Anche la rappresentazione ottimistica della società produttiva italiana («le nostre imprese sono ripartite, le esportazioni sono aumentate, il turismo è un traino») è tutta funzionale a un'inaccettabile difesa dello status quo. In realtà le cose non vanno bene, dato che non siamo tornati al livello del 2007 e troppi nostri giovani sono costretti a emigrare. Nessuno si aspettava da Mattarella una difesa dei lavoratori privati, che spesso destinano più della metà del loro reddito allo Stato, ricevendo in cambio ben poco.

Sarebbe però una buona cosa che quanti occupano i palazzi del potere, a Roma, fossero più consapevoli delle sofferenze di chi ha perso reddito e lavoro in questi anni (specie durante la pandemia), di chi continua nonostante tutto a investire, di chi non si è rassegnato e s'illude che il Paese possa rimettersi sulla giusta carreggiata.

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